Macchia Mediterranea: testimonianza di una migrazione

Dall'olivastro al carrubo, dominanti secoli fa, alla lecceta. Nel mezzo ci sono circa 130 specie che caratterizzano i territori costieri del "Mare nostrum"
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Torna l'approfondimento del professor Enrico Martini. Ci spiega, questa volta, l'evolversi della macchia mediterranea. 

La fitocenosi che, in una serie dinamica normale, col tempo tende a sostituire la gariga è la macchia mediterranea: un consorzio di arbusti termofili sempreverdi (con un’unica eccezione di cui tra breve parleremo perché la sua presenza ha qualcosa di straordinario: è la muta testimonianza di un’avventurosa migrazione durata milioni di anni).

Specie caratterizzanti. Gli arbusti che compongono la macchia lungo le coste del Mediterraneo appartengono a circa 130 specie diverse. Alcune forme, particolarmente adattate ad ambienti aridissimi e poverissimi di humus, si rinvengono per lo più a livello del mare nelle regioni meridionali: per  esempio il rosmarino (Rosmarinus officinalis), il lillatro sottile (Phillyrea angustifolia), il lentisco (Pistacia lentiscus), il ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa). Altre, a foglie sempre coriacee ma a lamina più espansa e quindi esigenti un apporto idrico lievemente maggiore perché maggiori sono le perdite di acqua per traspirazione, popolano sempre regioni marittime ma caratterizzate da un microclima meno severo; in questo secondo gruppo possiamo citare l’alaterno (Rhamnus alaternus), il mirto (Myrtus communis), il lillatro (Phillyrea latifolia), il corbezzolo (Arbutus unedo); quest’ultimo, come vedremo, riveste, o meglio dovrebbe rivestire, una grande importanza per il pianificatore territoriale.

Dalla macchia mediterranea alla lecceta. La macchia mediterranea è stata mitizzata da molti studiosi sia perché costituisce un paesaggio esteticamente valido, ricoprendo con un manto compatto, verdeggiante tutto l’anno, aridi colli marittimi, sia soprattutto perché è stata falcidiata, in molte aree, dall’espansione edilizia e dagli incendi, acquisendo, purtroppo, un valore relittuale. Tra questi estimatori, pochi sanno che in una ristretta fascia poco più che costiera, nelle regioni meridionali, la macchia ha valore di climax; altrove, invece, è un consorzio temporaneo, destinato ad essere sostituito (sempre che non intervengano gli incendiari dolosi) dal bosco di leccio; la lecceta rappresenta un climax nelle zone marittime dell’Italia settentrionale e centrale, ed in quelle collinari dell’Italia meridionale al di sopra, appunto, della macchia. Caratteristica di questo consorzio, oltre al fogliame sempreverde, è la costipazione degli esemplari: gli arbusti possono costituire un intreccio davvero inestricabile. Il fattore limitante dello sviluppo degli esemplari è rappresentato dalla scarsità di luce, esiziale per le forme di minori dimensioni.

Oleastro e carrubo, progenitori di grande fascino. Col tempo (in un territorio tanto alterato dall’antropizzazione come quello costiero italiano, dovremmo parlare di secoli o addirittura di millenni), le forme altoarbustive che prevarrebbero sono soltanto due: l’oleastro (Olea europaea var. sylvestris. Vedi foto nella gallery), progenitore dell’olivo domestico, e il carrubo (Ceratonia sìliqua). Due vere rarità (anche se molti carrubi coltivati sono presenti lungo le coste italiane). Di straordinario interesse sono gli oleastri sardi, orgoglio della località Santu Baltolu di Karana, nel Comune di Luras (provincia di Olbia-Tempio): l’esemplare più vecchio, 8 metri di altezza, 11 di circonferenza del tronco misurata a 1,30 metri dal suolo, una chioma incredibilmente espansa, dovrebbe avere un’età di circa 3000 anni: forse il più antico patriarca legnoso esistente sul territorio italiano (del castagno dei 100 cavalli, alle falde dell’Etna, parleremo in seguito).
Il discorso sulla macchia mediterranea non è concluso: arrivederci apresto su About Plants.


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