Il climax e i suoi benefici

Tra bosco e biodiversità serve equilibrio. La necessità di una programmazione lungimirante
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Un climax, formazione di piante intradipendenti in equilibrio con l’ambiente, si autogestisce nel tempo: salvo casi di stress particolari (incendi, fitopatìe, danni di nuovo tipo), non obbliga ad effettuare interventi economicamente onerosi per conservarne un apprezzabile livello qualitativo. Essendo composto dalla specie più idonea in rapporto ai parametri ambientali del sito, è a priori in grado di svolgere con la migliore efficienza le complesse funzioni che una fitocenosi è chiamata ad assolvere, in particolare il consolidamento dei pendii, la regolazione dello smaltimento delle acque piovane, la migliore resistenza a stress di varia natura. Deve essere chiaro che è possibile “costruire” una copertura arborea diversa dal climax ma si sarà obbligati a difendere questa “creazione” dal ritorno della vegetazione spontanea, più competitiva: per mantenerne un apprezzabile livello qualitativo, periodicamente si sarà obbligati ad attuare interventi economicamente onerosi finalizzati ad arginare il dinamismo vegetazionale.

Bosco e  biodiversità. Di fronte ad un pubblico di amanti della natura si va a manifestare portando due cartelli, uno che riporti la scritta “Viva il bosco”, l’altro che inneggi alla biodiversità: gli applausi sono garantiti. Tanti ignorano che, se il bosco si espande ovunque, aumenta in modo esponenziale la vita microscopica a livello del suolo ma si verifica una drastica riduzione del numero delle specie di vegetali superiori, e di conseguenza anche di specie animali, rispetto ad un territorio vario in quanto “lievemente trasformato” dall’uomo. Millenni fa, a patto di avere l’agilità di una scimmia, sarebbe stato possibile salire su un albero all’altezza della futura Reggio Calabria e, passando di ramo in ramo, scenderne all’altezza della futura Calais, di fronte alle bianche scogliere di Dover. Oggi non è più così: trascurando i centri abitati, coltivazioni, aree prative, suffruticeti, arbusteti e lembi boschivi hanno sostituito in molte aree quello che sicuramente era un bosco compatto. Un insieme così variegato è garanzia di ospitalità per un numero assai maggiore di specie animali e vegetali: è in questi casi che può realizzarsi il massimo di biodiversità. Quindi gridare “Viva il bosco” equivale a sostenere “Abbasso la biodiversità”.

Lungimiranza programmatica. Consideriamo dunque semplicistico l’intento di diffondere i climax ovunque (con le limitazioni legate allo sfruttamento delle risorse naturali per il sostentamento dell’uomo): nell’ambito di una pianificazione lungimirante si dovrebbe elaborare uno studio attuativo che consentisse di spingersi ad un livello di definizione puntuale molto articolato, che contempli anche, in certi casi, la difesa di stadi intermedi contro quello finale del dinamismo vegetazionale: rendiamoci conto che, più un ecosistema è ricco nelle sue componenti biotiche, meglio può reperire al suo interno i mezzi per resistere a stress di varia natura (ad esempio un attacco parassitario su vasta scala alla specie arborea dominante). Un esempio: su un crinale non acclive, a giudizio di chi scrive, deve essere pienamente lecito realizzare (a spese della comunità) un’agricoltura “a perdere” (per favorire il sostentamento di specie della fauna selvatica) o anche semplicemente una copertura erbacea idonea ad ospitare orchidee o a costituire foraggio per erbivori della fauna spontanea. Vane chimere? In Italia sì, purtroppo, specie con i chiari di luna di questi tempi. La dolorosa realtà attuale, tuttavia, non deve esimerci dal prospettare quale sarebbe la scelta pianificatoria migliore. Oltre a tutto un paesaggio vario, a differenziate componenti vegetazionali, è assai più gradevole alla vista di una copertura arborea uniforme: esistono pure una validità “estetica” e una potenzialità di fruizione del paesaggio, da sfruttare in un Paese come il nostro che, da un turismo evoluto, ricava proventi e sempre più dovrà ricavarne in futuro.