Uno studio ha esaminato il tasso di estinzione di insetti pronubi e le loro variazioni nel tempo, alla ricerca di un modello capace di spiegare i cambiamenti in Gran Bretagna.
L'impollinazione entomofila operata da insetti come api e vespe in visita sui fiori è fondamentale per il mantenimento della biodiversità, della produttività agricola e, senza esagerazione, della vita animale (e quindi anche umana) sul pianeta. Tuttavia, nonostante la sua importanza, le attività antropiche stanno causando la diminuzione del numero e della diversità degli insetti impollinatori.
Molti studi si sono concentrati su come l'utilizzo degli agrofarmaci e il peggioramento delle condizioni naturali degli habitat abbiano contribuito al diminuire di queste specie di insetti.
In una ricerca inglese, sono state utilizzate quasi 500 000 registrazioni di avvistamenti di api, vespe e formiche compiute dalla Bees, Wasps and Ants Recording Society (BWARS) per valutare l'evoluzione delle comunità di impollinatori in tutta la Gran Bretagna dalla metà del 19° secolo fino ai giorni nostri.
I ricercatori hanno esaminato il tasso di estinzione delle specie e le sue variazioni nel tempo, alla ricerca di un modello capace di spiegare i cambiamenti. Le specie sono state considerate estinte quando non sono emersi eventuali avvistamenti specifici per più di 20 anni.
Molte delle specie esaminate esistono ancora nell'Europa continentale, quindi non sono estinte del tutto ma semplicemente non compaiono più in Gran Bretagna. Sono considerate scomparse 23 specie di insetti. Il tasso di estinzione cambia nel tempo e si accorda con l'identificazione di quattro periodi di variazione: 1874-1928, 1928-1958, 1958-1986 e 1986-1994.
I ricercatori collegano questi periodi di estinzione maggiore con i cambiamenti su larga scala nelle politiche e nelle pratiche agricole.
Il primo periodo, che evidenzia una perdita di 0,96 specie per decade (rispetto a 0,21 degli anni precedenti), coincide con i cambiamenti nell'utilizzo dei fertilizzanti, che hanno ridotto enormemente la consueta pratica agricola di lasciare il terreno a riposo per alcuni periodi, favorendo l'instaurazione di specie selvatiche che ne mantenevano il naturale equilibrio.
Un importante periodo di perdita di specie (3,46 specie per decade) si è verificato dal 1928 al 1958, a seguito alle modifiche nelle politiche agricole dopo la prima guerra mondiale. Durante questo periodo, l'agricoltura è stata intensificata a causa dei problemi di sicurezza alimentare, che sono rimasti tali fino alla seconda guerra mondiale e oltre.
Tra il 1958 e il 1986, il tasso di estinzione è rallentato a circa 0,98 specie per decennio. Questo non è facilmente spiegabile, visto che l'agricoltura si è intensificata ulteriormente. Potrebbe venirci in soccorso nella spiegazione il concetto di selezione naturale: le specie più sensibili ai cambiamenti erano già scomparse, mentre le specie tolleranti sono sopravvissute.
L'ultimo periodo, 1986-1994, ha visto un tasso di estinzione di specie di 5,48 per decade. I ricercatori presentano questo dato come molto incerto poiché appare in netta contraddizione con quello del periodo precedente. Suggeriscono che questo alto tasso può essere dovuto a dati di estinzioni sovrastimati tra il 1988 e il 1990 che alterano il dato finale. Tra il 1971 e il 1994 inoltre, non sono state registrate estinzioni.
In generale, lo studio mostra che i driver dietro le estinzioni sono molto complessi (si veda anche le morti da parassitosi o inquinamento), ma legati in maniera molto stretta ai cambiamenti mondiali dell'agricoltura.