Alberi, politica e futuro

I continui mutamenti dell'ambiente urbano e il ruolo fondamentale del verde pubblico

Riprendo un mio “pensiero” scritto di getto l’estate scorsa e lo rivedo alla luce di quanto si continua a leggere sui vari social e che, da studioso quale ho la presunzione ancora di essere, mi pare talvolta pervaso, oltre che di “odio” verso quella che è la ricerca, non solo nel nostro paese, anche di teorie complottiste quanto meno bizzarre. Come ha recentemente detto Carmelo Palma (2017) “si va rafforzando la persuasione che la scienza sia il possibile schermo di un sistema di potere economico occulto. La diffusione del pregiudizio antiscientifico è a misura di quella del risorgente pregiudizio anti-capitalista. La ‘cultura del sospetto’ non è tanto l’ingenuo riflesso di un’opinione pubblica ignara dei progressi della scienza moderna, quanto una manifestazione della più diffusa sindrome politica contemporanea”.

Mi è sembrato che questa frase fosse perfetta come incipit perché trovo che si attagli perfettamente a certe situazioni in cui si preferisce (o si vuole) credere a ciò che si legge sui vari social (e che una volta rimaneva confinato al bar e alla piccola cerchia di persone che lo frequentavano) ad articoli redatti con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, resi pubblici con il deliberato intento di disinformare o diffondere fandonie (adesso chiamate bufale dall’inglese bullshits o, meglio ancora e più di moda, fake news) attraverso i mezzi di informazione.
Ciò si applica anche al mio specifico settore di interesse, cioè il verde urbano, dove, dopo oltre 25 anni in cui eravamo in pochi a interessarcene e pochissimi a livello di ricerca, sembra che tutti siano diventati esperti e tutti si sentano in grado di esprimere giudizi (cosa lecita), ma anche di dettare la linea su ciò che si deve e non si deve fare (cosa lecita solo se si hanno adeguate conoscenze al riguardo). Fa piacere, come ho più volte detto, notare questo interesse ma, spesso, si usano parole e toni non solo non corretti, ma spesso offensivi e si usano in modo surrettizio certe argomentazioni risibili e spesso infondate.
Esistono, infatti, alcune parole che, nell’attuale scenario in Italia, vengono spesso usate dai politici e dai mass media in modo per lo più improprio. Penso a sostenibilità, resilienza, biodiversità, ecc. Oltretutto, più certe parole ricorrono, più sono al tempo stesso usate in modo scorretto, manipolato, contraffatto e di ciò la nostra classe dirigente è talvolta l’artefice sfrontata per fare in modo da rendere asserviti a sé stessa coloro che paiono guidati da chissà quale furore liturgico o mistico e che accettano supinamente tutto ciò che proviene dalla loro parte politica.

Detto questo credo sia giusto guardare il tutto con occhio asettico e gettare uno sguardo fuori dal nostro ovile per quanto riguarda il futuro “verde” delle nostre città. Le città europee sono soggette a continui cambiamenti, e nessuna area urbana sarà immune dalle forze che li muovono. Infatti, come il XXI secolo progredirà, è probabile che il ritmo del cambiamento sarà anche accelerato. Luoghi che un tempo prosperavano potrebbero fisicamente e/o economicamente degenerare, mentre altre aree, che sono attualmente ritenute povere o depresse, potrebbero beneficiare di una rigenerazione o di una rinascita.
Ignorare il cambiamento che stiamo vivendo è, da parte dei nostri politici, degli investitori o degli opinion makers, ma anche e soprattutto dei cittadini, deleterio, né questa può essere considerata un’opzione di lungo termine per il nostro futuro. Dobbiamo aver ben chiaro che il concetto di aree verdi rinnovate e sostenibili non può restare una fumosa dichiarazione di intenti, ma deve realizzato da adesso per “costruire” la città del 2050 o più in là. Pensate che il normale “ricambio” delle alberature nelle città estere è compreso fra lo 0,7 e l’1%, il che vuol dire, per una città come Roma, di rinnovare annualmente una cifra di alberi compresa fra 2000 e 3000 e per una città come Firenze tra le 400 e le 700. Cifra che può apparire enorme, ma che rappresenta il naturale ricambio degli alberi per garantire un patrimonio arboreo almeno stabile come numero, anche se sarebbe meglio piantarne più di quelle che muoiono e di quelli che, per necessità, sono stati o devono essere abbattuti. È chiaro che ciò prevede, in ogni caso, la salvaguardia delle alberature storiche e di quelle di rilevanza paesaggistica, per le quali ci si limiterà al reimpianto dei soli individui morti “naturalmente”.

La mancanza di un reale impegno politico su questo porterà a un peggioramento dei problemi urbani, anche perché alcuni settori delle nostre comunità stanno sviluppando un crescente disincanto verso di esso. La nuova retorica urbana del politico, dei media e, purtroppo, anche di alcune riviste specializzate, non riesce a capire pienamente la realtà della nuova 'urbanistica' e ciò è piuttosto grave, poiché non si percepisce appieno il fatto che molte delle nostre città sono in un punto nel ciclo urbano di vita del sistema in cui c’è un veloce spostamento da un'economia industriale a un’economia post-industriale e, quindi, sono al di là della fase di maturità stabile e stanno entrando in un ciclo di declino. Le città europee si trovano di fronte all'invecchiamento e alla contrazione della popolazione e lotteranno, in un futuro non troppo lontano, per fornire servizi decenti, finanziariamente sostenibili e una buona qualità della vita dei residenti.
Il verde pubblico deve perciò assumere aspetti e funzioni sempre più precisi e differenziati ed essere organizzato in un vero e proprio “sistema” continuo: dal verde sotto casa per i più piccoli, al parco-giochi a distanza pedonale, al verde di quartiere con impianti sportivi elementari, al verde di settore urbano con attrezzature più complesse e specializzate, fino alla grande area naturale al servizio dell’intera città e del territorio circostante il tutto collegato da “connettori verdi” che consentano di spostarsi da un’area verde all’altra senza soluzioni di continuità. Tuttavia, è fondamentale che tali iniziative siano supportate tecnicamente e possiedano una coerenza interna con le altre politiche gestionali e con gli obiettivi e le strategie di pianificazione urbana nel suo complesso, poiché in uno scenario nazionale e internazionale sempre più articolato, con tagli di bilancio in aumento, l'uso di strumenti avanzati per la pianificazione strategica e l'allocazione ottimale delle risorse diventa essenziale per implementare quantitativamente e, soprattutto, qualitativamente il verde nelle aree urbane.
Tutto questo sottolineando sempre che le aree (non solo verdi) pubbliche di successo in tutto il mondo hanno successo non solo per il design, ma anche per la gestione. Non si tratta solo di tagliare l'erba e raccogliere la spazzatura e, soprattutto, non si tratta di capitozzare brutalmente gli alberi come troppo spesso accade. Si tratta di pianificare, progettare e realizzare aree verdi attraverso una “politica oculata” (intendendo per politica in questo caso, non quella dei partiti, ma la scienza e tecnica, come teoria e prassi, che ha per oggetto la costituzione, l'organizzazione, l'amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica) che preveda anche una revisione delle specie finora utilizzate e un ampliamento del numero di specie usate, non necessariamente limitando la scelta alle sole specie autoctone (cosa c’è di autoctono in un ambiente artificiale come quello urbano?).
La maggior parte della gestione deve essere pianificata nel lungo termine, in modo da ottimizzare i costi (non necessariamente di ridurli) e consiste anche nel coinvolgimento diretto dei cittadini. Dobbiamo pensare ai parchi non solo per il miglioramento ambientale, ma come veri e propri centri di comunità all'aperto dove dobbiamo investire in usi e attività in modo che possano realizzare il loro potenziale. Quando miglioriamo i parchi, miglioriamo davvero la qualità della vita.

A questo proposito, voglio ribadire un concetto che dico spesso nelle mie presentazioni. Finché si continuerà a considerare le risorse allocate al verde urbano (ma questo è valido anche per il privato) un costo e non un investimento, difficilmente si potrà avere un reale cambiamento nelle nostre città. Solo una governance (altra parola molto inflazionata) attenta e mirata potrà, infatti, evitare il collasso delle attuali città e guidare la trasformazione degli attuali agglomerati urbani in smart cities. Ma dire solo no, solo sulla base di pregiudizi politici, non farà compiere alcun progresso. Parafrasando Einstein “non possiamo pensare di risolvere i problemi con la stessa mentalità che li ha creati”.

Francesco Ferrini, Docente di Arboricoltura, Scuola di Agraria – Università di Firenze