Il verde verticale è davvero sostenibile?

Alcune considerazioni riguardo le opere di verde verticale. Numerose problematiche di gestione a fronte di pochi vantaggi
Con la definizione di verde verticale spesso si identificano sia le strutture dotate di vegetazione poste a ridosso delle pareti verticali di edifici, che la realizzazione di superfici piane a verde (tappeto erboso, arbusti ed anche piante arboree) quali terrazze, tetti o nicchie appositamente ricavate nei fabbricati.

L'interazione con le strutture. Esistono migliaia di esempi di pareti verticali conquistate da piante rampicanti di ogni tipo, così come magnifici giardini pensili, tetti verdi che punteggiano le nostre città e le grandi metropoli di tutto il mondo. Su tutto ciò niente in contrario, naturalmente, a maggior ragione quando il verde in senso lato contribuisce alla rigenerazione del paesaggio urbano, dunque non solo per la sua funzione di produttore di ossigeno, filtro di sostanze inquinanti ed elemento di miglioramento del microclima urbano, ma anche per la capacità delle piante semplicemente di abbellire uno scorcio desolato di cemento e ricreare uno scampolo di naturalità.
Vorrei dire in premessa che sono totalmente scettico sulla realizzazione del verde verticale, in qualunque accezione lo si voglia intendere, quando riguarda edifici – pubblici o privati che siano – se questi sono di considerevole altezza. Sul termine considerevole, riferito alla quota del fabbricato, mi spiegherò tra poco.
Dal mio punto di vista di dottore forestale, dunque di tecnico che affronta il tema del verde urbano sotto il profilo di varie discipline, tra le quali la fisiologia della pianta, l’ecologia, l’estimo ed economia ambientale, trovo che sia da incoraggiare ogni iniziativa di miglioramento delle qualità dell’ambiente cittadino e di potenziamento delle prestazioni energetiche ed ambientali degli edifici, attraverso soluzioni  che prevedano di dotare di verde i vari manufatti.
Il problema, a mio modo di vedere, è rappresentato dalla realizzazione di progetti di giardini e pareti vegetali verticali, di cui cominciano ad esserci esempi anche in Italia, dove si propone la costruzione di veri e propri boschi annidati in apposite terrazze e vani ubicati in edifici di decine di piani o, addirittura, in veri e propri grattacieli.
Costruzioni di considerevole altezza, tale che per garantire la sopravvivenza del suddetto verde verticale, occorre un importante dispendio di energie per assicurare l’approvvigionamento di acqua e nutrienti ed un apporto continuo per coltivare, regolare, curare e monitorare questa vegetazione.
Per rendere compatibile la presenza del “bosco” in quota, dovranno essere necessariamente implementati i dispositivi di ancoraggio, non potendo contare che su limitati spessori di substrato per l’ancoraggio degli apparati radicali ed essendo accresciuta l’esposizione  alla ventosità, dunque a maggiori sollecitazioni meccaniche con prestazioni di stabilità della pianta ridotte, rispetto ad una normale messa a dimora nel suolo naturale.
Si obietterà che un’accurata selezione delle specie, la corretta progettazione del sito di impianto e raffinati modelli fisico-matematici garantiranno i migliori margini di successo dell’attecchimento e di sopravvivenza del giardino e – al contempo – la sua messa in sicurezza (o, più ragionevolmente, andrebbe detto: riduzione del rischio).
Ebbene, ciascuno di questi progetti – basta fare una rapida ricerca su Internet – viene esibito come “sostenibile”, tuttavia in nessuna di queste presentazioni sono riuscito a trovare adeguata dimostrazione di tale aggettivo.

L'aspetto della sostenibilità. Qual è l’effettivo bilancio ambientale tra i benefici portati dal verde verticale ed i costi per costruirlo e mantenerlo in vita là dove sarà messo a dimora? Quale potrà essere, ad esempio, il saldo tra CO2 sequestrata nei tessuti legnosi degli alberi da una parte e, dall’altra, quella immessa in atmosfera nel  produrre l’energia necessaria a pompare l’acqua di irrigazione, produrre l’acciaio occorrente ai sostegni di sicurezza, trasportare ai vari piani del grattacielo i substrati,  materiali,  giardinieri e tecnici per le necessarie cure colturali? Ho fatto solo qualche banale esempio, ma sono convinto che un’analisi più approfondita porterebbe alla luce molti altri costi ambientali nascosti: ho motivo di ritenere che se davvero tali bilanci avessero un saldo positivo a favore dell’ambiente, i sostenitori di tali progetti sarebbero assai solerti nell’evidenziarli con tutta l’enfasi del caso.
Sul portale della ricerca e delle pubblicazioni scientifiche Google Scholar, o su Athenus, un altro noto portale dedicato all’ingegneria, una ricerca con le parole chiave “vertical greening”, “living walls”, “green façades”, “green terraces”, ecc. restituisce oltre 40.000 risultati.
Se restringiamo l’indagine e proviamo a individuare le caratteristiche di sostenibilità di questi progetti, troviamo una grande quantità di studi che dimostrano i positivi effetti sulla qualità dell’aria nelle città, sul miglioramento  delle prestazioni energetiche degli edifici e sul benessere degli abitanti.
Moltissimi articoli espongono le ragioni (facilmente intuibili) dell’incremento del valore a metro quadro dei grattacieli quando sia presente il bosco in terrazza: un grattacielo ecologico evoca il compiersi del sogno di un progresso tecnologico capace di allearsi con la natura.
Purtroppo non sono riuscito a trovare nulla che riguardasse un affidabile e convincente bilancio costi-benefici di queste installazioni, redatto secondo i criteri dell’estimo ambientale. Il confronto con ricercatori e docenti universitari mi ha rafforzato nella convinzione che, alla fine, i costi ambientali nessuno li ha mai valutati per davvero: spero che qualcuno mi dimostri il contrario.
Rischierò un approccio che potrà sembrare prosaico e capace di svilire la narrazione suggestiva di città del futuro con nuovi grattacieli eco-sostenibili, così ben rappresentate in tavole di progetto e rendering tanto accattivanti.
Vorrei conoscere il parere degli amministratori condominiali di edifici già in opera dotati di verde verticale, circa le problematiche gestionali di tali infrastrutture – giacché si presume che le cure colturali del bosco a cento metri di altezza non possano essere affidate alle iniziative dei singoli proprietari – ma anche conoscere un parere circa le possibili fonti di conflitto tra condomini o le questioni legate a soggetti terzi (altri fabbricati, passanti in strada, ecc).
Difatti, come potranno immaginarsi tutti coloro che si occupano di gestione di alberature in ambiente urbano, il tema delle responsabilità civili e penali connesse alla sicurezza ed alle criticità tipiche dell’arboricoltura, non potrà che ingigantirsi man mano che si sale con l’ascensore verso il tetto del grattacielo, cosiddetto ecologico.
Mi domando, poi, quali possano essere i costi monetari derivanti dai maggiori oneri di gestione: attualmente la manutenzione del verde pubblico costa mediamente da poco meno di 1 a 5 euro a metro quadrato per anno, mentre un giardino privato condominiale, di qualità,  costa mediamente da 5 a 10 euro a metro quadrato all’anno. Stiamo parlando di costi a livello del suolo, però.
Quanto è il prezzo, invece, delle potature di alberature o di arbusti posti ad un cinquantesimo piano di un edificio, comprendendo la messa in sicurezza dell’area di intervento e gli oneri accessori di sminuzzamento del materiale vegetale di risulta e il suo trasporto a piano terra evidentemente in appositi contenitori (dal momento che sarà difficile poter scaraventare le potature giù dal terrazzo o trascinarle, tal quali, per qualche migliaio di gradini)?
Quanto incidono, sulla struttura portante dell’edificio, i necessari rinforzi in pareti, pilastri e solai per supportare il peso dei substrati occorrenti, degli accumuli idrici e di tutta l’attrezzatura occorrente per mantenere in piedi il bosco?
E ancora, quando si parla di sostenibilità di queste formazioni vegetali poste ad elevate altezze (lo ripeto: le maggiori perplessità sono per gli edifici molto alti: senz’altro quelli da decine di piani o i veri propri grattacieli) si dovranno anche considerare i costi connessi all’assicurazione. Proviamo infatti a immaginare quanto possano incrementarsi le polizze assicurative di responsabilità civile, che dovessero contemplare un danno prodotto da una di queste strutture vegetali (faccio un esempio facilmente comprensibile: il cedimento di un ramo che dovesse impattare al suolo dopo una caduta libera per trenta piani).

Razionalizzare le scelte.
Veniamo allora al nocciolo della questione: gli edifici di grandi altezze non sono sostenibili, né ecologici, tantomeno a basso  impatto solo per il fatto di essere stati dotati di verde verticale o boschetti ubicati in quota: anzi, non è da escludere che la presenza del verde verticale possa addirittura aggravare il bilancio – senza dubbio negativo – prodotto dalla costruzione di cemento e ferro ed altri materiali energivori e non rinnovabili.
Possiamo solo dire che i grattacieli “verdi” appariranno esteticamente più gradevoli, che potrà esservi un qualche miglioramento – a scala locale – di taluni parametri ambientali, ma definire tali edifici “sostenibili” è smaccatamente una forzatura.
Si dovrebbe forse ammettere che si tratta di un’abile strategia commerciale, atta a proporre un prodotto innovativo che sia attraente nei paesi con il mercato dell’edilizia stagnante, come l’Italia, o in paesi emergenti, ossessionati dall’inquinamento fuori controllo e dalla saturazione urbanistica delle città, convincendo amministratori, costruttori ed acquirenti (ciascuno dal proprio speciale punto di vista) che dotare di verde i grattacieli, sia un’idea assolutamente geniale. Basta non chiamarli sostenibili: non succeda che poi li ritroviamo prescritti in qualche norma urbanistica.