Gli inibitori della nitrificazione sono davvero efficaci?

Non solo benefici dall’applicazione ai fertilizzanti di fattori che riducono le trasformazioni dei composti dell’azoto. Necessaria una rivalutazione della pratica.
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La riduzione della nitrificazione, operata tramite gli inibitori applicati ai fertilizzanti, è una strategia volta alla mitigazione dei cambiamenti climatici poiché abbassa le emissioni di protossido di azoto (N2O), un potente gas serra.

La situazione attuale. Nel corso di una ricerca condotta nel 2016 è stato scoperto che all’abbassamento delle emissioni di N2O si accompagna una maggior emissione di ammoniaca (NH3), facilmente convertibile in protossido di azoto. La valutazione degli inibitori della nitrificazione non può quindi prescindere da queste nuove osservazioni.
Il potenziale di riscaldamento globale di N2O è di circa 310 volte superiore a quello della CO2 e, a livello globale, l’agricoltura è responsabile per oltre il 50% delle emissioni di questo gas. Le coltivazioni sono quindi il bacino d’elezione per gli studi volti alla riduzione in atmosfera di questo composto clima-alterante. 
Un modo possibile per ridurre le emissioni di protossido di azoto è quello di applicare degli inibitori ai fertilizzanti che abbassano anche la lisciviazione, limitando l’arrivo dei nitrati all’interno dei corpi idrici. L’IPCC (International Panel on Climate Change) raccomanda l’utilizzo di fertilizzanti inibiti per ridurre le emissioni. Tuttavia c’è un rovescio della medaglia.
Gli inibitori possono aumentare lo stoccaggio di ammonio (un altro composto azotato con formula NH4+) che fa incrementare le emissioni di ammoniaca, composto in sé dannoso che contribuisce però anche indirettamente all’emissione di N2O. La quasi totalità degli studi svolti sull’applicazione di inibitori non ha preso in considerazione questi effetti, concentrandosi esclusivamente sulle emissioni dirette. Un gruppo di scienziati ha effettuato un esteso lavoro di ricerca bibliografica sulle pubblicazioni indicizzate al fine di evidenziare gli studi che hanno indagato simultaneamente protossido e ammoniaca, per migliorare la conoscenza di questa misura di contenimento delle emissioni. Sono solo 18 gli studi rintracciati.

I dati a disposizione. L'analisi dei risultati ha mostrato che gli inibitori della nitrificazione sono capaci di diminuire in modo diretto le emissioni di protossido dai fertilizzanti (minerali e organici). L’applicazione di inibitori nel caso di fertilizzazioni azotate con tassi compresi tra 97 e 625 kg di N per ha è capace di ridurre le emissioni di N2O dall’8% al 57%. Tuttavia le emissioni di ammoniaca aumentano in quasi tutti i casi, poiché la soppressione della conversione da ammonio a nitrato fa aumentare il tasso di NH4+ nel terreno. L’ammoniaca conseguentemente rilasciata in atmosfera tornerà nel terreno ad opera dei batteri come parte del naturale ciclo dell’azoto, durante il quale viene prodotto NO3- (ione nitrato). Questo composto viene poi facilmente trasformato in protossido.
Secondo l'IPCC, un tasso medio di 1-5% di ammoniaca viene convertito in protossido di azoto. L’incremento nel rilascio di ammonica da fertilizzanti (stimato in circa il 65% in seguito all’utilizzo degli inibitori) ha quindi importanti implicazioni sulle emissioni. Un’attenta valutazione del fenomeno è indispensabile per valutare l’effettiva funzionalità ambientale degli inibitori della nitrificazione, visto che gli effetti positivi potrebbero essere superati da quelli negativi. Una soluzione possibile ipotizzata dagli scienziati potrebbe essere rappresentata dall’abbinamento con inibitori dell’ureasi (che agiscono sul passaggio urea-ammoniaca) capaci di abbassare anche del 90% il tasso di degradazione.