Mangrovie: una scelta difficile tra dolce e salato

L' esplorazione dell’estuario del Waitangi River, in Nuova Zelanda, svela una vegetazione dal grande valore ecologico e paesaggistico
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Nell’esperienza comune sappiamo tutti come sia difficile far convivere il dolce ed il salato, e lo sanno bene anche le forme di vita acquatiche, di solito distinte tra quelle che vivono nell’acqua salata dei mari e quelle che invece hanno scelto l’acqua dolce di fiumi e laghi. Ma ci sono anche le aree di confine, ambienti particolari dove organismi molto ben adattati sono riusciti a svilupparsi occupando territori anche estesi e molto importanti, sia dal punto di vista biologico sia da quello della interazione con le forze fisiche che modificano e modellano continuamente la superficie terrestre. Sono le acque salmastre, gli estuari dove si mescolano acque oceaniche e fiumi, le aree umide e le paludi costiere: nelle zone tropicali e sub tropicali sono il regno delle mangrovie.

Per avere un’idea dell’importanza e della estensione dell’ecosistema delle mangrovie niente di meglio che esplorare l’estuario di un fiume, come quello del Waitangi River, che sfocia nella Bay of Islands nel Nord della Nuova Zelanda. Il Waitangi è molto conosciuto, è il fiume che dà il nome al luogo del famoso trattato tra inglesi e maori, trattato di cui viene ogni anno celebrata la ricorrenza, con cerimonie ufficiali e numerose attività ed esibizioni, tra cui una sfilata di canoe cerimoniali nell’ultimo tratto del fiume. E proprio a ridosso dell’area protetta e dell’annesso museo inizia un bellissimo percorso che porta, dopo circa 4 km, alle Haruru Falls.
C’è da dire che anche semplicemente passeggiando lungo le spiagge della Bay of Island ci si rende conto della presenza di numerosi semi di mangrovia (Manawa in lingua maori), che approdano, trasportati dalle onde, alla ricerca di un posto dove radicare. In realtà non si tratta di semi, ma di propaguli, piccole piante già in grado di radicare quando si staccano dalla pianta-madre. E quando trovano il posto adatto comincia l’avventura. La cosa straordinaria che hanno imparato a fare le mangrovie è vivere periodicamente sommerse dalle maree, creando un ambiente fisico favorevole alla deposizione di materiale e alla vita di numerose specie animali; una sorta di barriera protettiva che mitiga l’impatto del moto ondoso e delle correnti e in genere di tutti gli agenti atmosferici, favorendo la produzione di biomassa e ostacolando l’erosione.

Avviandosi lungo il Waitangi Walk si percorre inizialmente un tratto all’interno del bush, il bosco/foresta del Northland, in un’ombra più o meno fitta grazie all’intrico della vegetazione, tra i suoni prodotti dalle numerose specie di uccelli che lo popolano. E capita di vedere angoli molto suggestivi e di ammirare alberi dallo strano portamento, come gli imponenti Puriri (Vitex lucens) dai tronchi nodosi e dalle enormi branche allungate orizzontalmente, che sembrano sfidare ogni legge fisica o le palme Nikau (Rhopalostylis sapida), l’unica palma endemica della Nuova Zelanda, con il loro caratteristico ciuffo di foglie strette tra di loro e i fiori rosa e lilla che risaltano sul verde del sottobosco.
Capita anche di avere ampie vedute del fiume che scorre pigramente, dividendosi in vari rami, sotto un cielo popolato di aironi dal volo maestoso e lento. E viene difficile pensare che in certi momenti, dopo una tempesta o dopo piogge torrenziali, le famigerate heavy rains, questo fiume possa trasformarsi in un vortice impetuoso e travolgente.
Quando il sentiero scende a lambire la riva del fiume la vegetazione cambia, nelle numerose anse e golene si notano rigogliose piante acquatiche e, laddove la corrente rallenta, le mangrovie formano ampie distese compatte di alberature alte fino a 7-8 metri, da dove, di tanto in tanto, si leva in volo un airone, mentre in lontananza si fanno sentire numerosi i gabbiani.

Un ponticello di legno, sulle cui balaustre non è raro vedere uccelli posati, porta sulla riva destra del fiume e si addentra nel fitto delle mangrovie. E tutto cambia. Cambia la luce, che si fa più intensa per la minore copertura vegetale, cambiano i suoni e si cominciano a sentire gli inconfondibili ticchettii dei gamberi, e si cammina non più sulla terra battuta, ma su una passerella di legno che si snoda tra la vegetazione passando sopra un terreno fangoso e bucherellato, fitto di piccole formazioni verticali, radici aeree che emergono dall’acqua dette pneumatofori, che sono uno dei segreti evolutivi delle mangrovie. Se ci si ferma qualche istante si percepisce anche un’aria diversa, un diverso calore e una diversa umidità, inoltre gli strani ticchettii di poco prima diventano sempre più numerosi, vicini e forti. A creare questo surreale e caratteristico sottofondo sonoro sono gli snapping shrimps (Alpheus euphrosyne richardsoni), piccoli crostacei che vivono nella sabbia fangosa, mentre nelle pozze d’acqua più profonde e isolate si sente il guizzo dei pesci che si muovono veloci appena sotto la superficie. Le mangrovie occupano tutto lo spazio visibile, simili ad arbusti semisommersi con l’alta marea, emergono come grandi trampolieri quando il livello dell’acqua si abbassa, mettendo in mostra i tronchi contorti. Le foglie scure, lucide e coriacee, essudano il sale in eccesso, formando piccoli cristalli bianchi sulla superficie. E l’impressione generale è quella di un mondo primitivo, ricco di vita nascosta ma incessante, dove tutto si mescola e sembra tornare insieme, una sorta di brodo primordiale dove terra, acqua, luce e calore portano avanti una vita sorprendente. 

Note sull'autrice: 
Enrica Bizzarri, libera professionista, lavora nell’ambito della progettazione e del restauro di giardini e aree verdi, collaborando anche come consulente con amministrazioni pubbliche e società di progettazione.
Laureata con lode in Lettere all’Università di Perugia e diplomata Paesaggista alla Scuola di Architettura del Paesaggio di Villa Montalto a Firenze, perfezionata in Restauro dei giardini all’Università Internazionale dell’Arte di Firenze e in Progettazione del verde nelle strutture di cura, presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Milano.
Docente a contratto di Storia del giardino e del paesaggio presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia dal 2003 al 2008, è autrice di articoli e pubblicazioni e svolge attività didattica e divulgativa, tenendo corsi e conferenze per diverse Università e associazioni culturali e professionali. Dal 1999 è socia di AIAPP (Associazione Italiana Architettura del Paesaggio)