Pinus pinaster: il meno marittimo tra i pini mediterrranei

Contrariamente al suo nome volgare, il pinastro richiede un clima debolmente oceanico, che assicuri un discreto tenore di umidità dell’aria. I problemi legati al Matsucoccus feytaudi
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Il pinastro (Pinus pinaster), dai competenti chiamato anche pino marittimo, è un albero dalla chioma grossolanamente piramidale negli esemplari giovani, irregolarmente ombrelliforme e molto meno espansa rispetto a quella del pino domestico, in quelli adulti (assai rari in Italia perché falcidiati da incendi e malattie).
 
Meno marittimo degli altri. La specie è diffusa nella regione mediterranea occidentale; assai frugale, si adatta ad ogni tipo di terreno, è eliofila ma richiede un clima debolmente oceanico, che assicuri un discreto tenore di umidità dell’aria: si dimostra, quindi, il meno “marittimo” tra tutti i pini mediterranei. Il possesso di semi facilmente germinabili (la germinabilità si conserva anche per cinque anni) e di plantule frugali e assai eliofile, fa sì che il pinastro presenti notevolissime doti pioniere.
La specie costituiva un tempo pinete assai fitte in Liguria e Toscana; oggi molti consorzi evolvono verso un bosco misto di essenze termofile, complice una vera e propria falcidie operata da una cocciniglia, il Matsucoccus feytaudi, parassita esclusivo del pinastro. In ogni caso, man mano che si scende a latitudini meridionali il pino marittimo diviene sempre più sporadico, venendo sostituito da quello d’Aleppo quando il clima diviene decisamente arido e caldo.
 
Incendi, competizione e cocciniglia. La grande diffusione del pinastro, più che ai rimboschimenti effettuati in passato, si deve ad incendi ripresentatisi non troppo frequentemente negli stessi luoghi. In effetti, sotto un manto compatto di pini e in tempi assai lunghi, si espandono gli arbusti della macchia mediterranea, gli unici (eriche a parte) in grado di migliorare i parametri edàfici, di offrire adeguata protezione dai raggi solari e dal vento, e di realizzare condizioni idonee all’attecchimento e allo sviluppo delle plantule di leccio. Nella penombra per le plantule di pino eventualmente sviluppatesi non vi è scampo; discorso opposto per quelle di leccio, che anzi esigono ridotta insolazione.
Se non vengono appiccati incendi, il leccio, col tempo, prende il sopravvento e la pineta scompare. Con il passaggio del fuoco, invece, l’ambiente diviene di colpo assai luminoso e idoneo ad accogliere numerosissime plantule di pino, pronte a svilupparsi con celerità e a generare pinete secondarie fittissime. Se ripassa il fuoco prima che i pini giovani abbiano potuto sviluppare le pigne, addio bosco: si forma una gariga che evolve con estrema lentezza; in caso contrario si sviluppano pinete addensatissime su cui la cocciniglia del pinastro agisce provocando ecatombi. Il discorso sulla cocciniglia è importante, come abbiamo già trattato in precedenza (leggi QUI).