Le preziose qualità del corbezzolo

Arbutus unedo ha caratteristiche di pregio come pianta ornamentale. Non solo: la sua capacità di rivegetare la rende perfetta per le zone soggette a incendi
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Avevo in precedenza accennato all’importanza che dovrebbe avere il corbezzolo (Arbutus unedo, famiglia: Ericacee) per il pianificatore territoriale (leggi l'articolo). È giunto il momento di approfondire l’argomento.

Areale e resistenza al fuoco. Il corbezzolo è un arbusto della macchia diffuso lungo le coste della regione mediterranea. Da noi, man mano che si scende verso l’Italia meridionale, si verifica un innalzamento dei limiti altitudinali, legato all’affermarsi progressivo di un clima più arido e caldo: è questo il motivo per cui possiamo rinvenire la macchia anche a quote di qualche centinaio di metri nei primi rilievi dell’entroterra. Il corbezzolo non fa eccezione. Il legno di questo arbusto è assai infiammabile (come quello di tutti i componenti della macchia); è un dato di fatto, però, che gli esemplari, all’apparenza uccisi dal fuoco, rivegetano invece con grande celerità e notevole vigore vegetativo dopo gli incendi; passato il fuoco si risveglia una miriade di gemme dormienti all’altezza del “colletto”, cioè nella zona di contatto tra apparato radicale e fusto; la vivacità metabolica di queste gemme è davvero straordinaria: presto un nuovo cespuglio trionfa dove, pochi mesi prima, si elevavano pochi rami nerastri e disseccati.

Pianta da rimboschimento e da ornamento. Altre prerogative del corbezzolo sono il possesso di un apparato radicale robusto, di foglie in grado di fornire una lettiera idonea a venire trasformata in ottimo humus dalla microflora del suolo, di frutti adatti a sfamare numerosi animali, pregio di non poco conto in àmbiti devegetati dal fuoco e gravemente danneggiati nella componente animale dell’ecosistema. Sbaglierebbe chi pensasse che nei vivai forestali venissero coltivati esemplari a migliaia, da mettere poi a dimora nelle aree marittime frequentemente incendiate: nulla di tutto ciò. La regola è che nei vivai si rinvengano begli esemplari, assai decorativi, da piantare (evitiamo l’orrendo neologismo “piantumare”) nei giardini, soprattutto delle ville private. Una spiacevole conseguenza dell’aprioristico, stolido principio secondo cui i rimboschimenti vanno effettuati solo con gli alberi; tutto il resto è “cespugliame” quando non “erbacce”. Un sommesso invito alle scuole che, nelle zone costiere, organizzano annualmente la “festa dell’albero”: se, vicino a voi, incendiari dolosi esercitano la loro “onorata” attività, cercate nei vivai corbezzoli da mettere a dimora, anche per lo scorno di questi soggetti.
Un’annotazione curiosa: i frutti, purché maturi (ottobre-novembre), sono ottimi anche per l’alimentazione umana, ricchi di zuccheri, sali minerali e vitamine, solo un po’ astringenti. Ebbene: il nome specifico, “unedo”, risulta dalla contrazione di due parole latine: “unum edo” (ne mangio uno solo). Probabilmente il naturalista svedese Linneo, che nel 1753 battezzò la specie, venne tratto in inganno da frutti poco maturi.