La fitostabilizzazione come strada percorribile in un percorso di bonifica. Un esempio di quanto accaduto in Belgio.
Nel 2013 dei ricercatori dell'Università di Anversa, in Belgio, hanno studiato un sito di otto ettari all'estuario Schelda, situato alla foce del fiume omonimo, che attraversa Belgio e Paesi Bassi. In questa regione, migliaia di ettari di palude hanno bisogno di essere bonificati per raggiungere gli obiettivi UE riguardo la conservazione.
Il sito di studio è stato utilizzato come terreno agricolo e irrigato con l'acqua inquinata del fiume Schelda prima del 2003, dopo di che l'irrigazione è stata ottenuta, con una tecnica sperimentale, dall'acqua dolce della palude. Il metodo si basa sull'introduzione di argini e canali sotterranei, che permettono un grande drenaggio, e tubi per dirigere il flusso dell'acqua. L'utilizzo di questa tecnica ha permesso la creazione di una sorta di “marea debole”, ha aumentato la capacità di stoccaggio dell'acqua per il controllo delle inondazioni e ha migliorato la crescita delle piante delle zone umide.
Tuttavia, ancora oggi, il sito rimane altamente contaminato da metalli depositati principalmente negli anni Sessanta e Settanta. Gli autori della ricerca erano interessati a capire come le diverse piante sono coinvolte nell'elaborazione dei contaminanti per aumentare le conoscenze sull'utilizzo dei vegetali nei processi di fitoestrazione, una tecnica di decontaminazione che prevede l'utilizzo delle piante nella rimozione di inquinanti dal suolo o dall'acqua.
Sono state misurate le concentrazioni di otto contaminanti metallici (cadmio, cromo, rame,ferro, manganese, piombo, nichel e zinco) e dell'arsenico in 29 piante della zona umida per stabilire quali specie potrebbero essere importanti per il processo di ripristino.
Le più alte concentrazioni di metalli sono state trovate in un'alga giallo-verde del genere Vaucheria. Le concentrazioni rilevate erano tra le 3 e le 14 volte superiori, a seconda del metallo, rispetto alle altre specie. Per i ricercatori questo è dovuto alla tendenza delle cellule di queste alghe a scambiare calcio con altri metalli. Tuttavia, questa alga copre solo piccole aree di distese fangose e quindi non riesce ad accumulare una grande quantità di metalli.
Nessuna delle piante studiate dai ricercatori è riuscita ad assimilare abbastanza metalli da essere presa in considerazione come “iperaccumulatore” per l'utilizzo nella fitorimediazione. Nel complesso, solo una piccola percentuale (circa lo 0,05%) dei metalli che hanno contaminato la zona umida è stato trasferito alla parte epigea delle piante analizzate.
Questo significa che probabilmente non sono utili per la fitoestrazione.
Le concentrazioni di metalli più basse sono state trovate nelle monocotiledoni. I ricercatori dicono però, che alcune di queste piante, tra le quali alcune specie di giunchi, potrebbero essere da preferire per l'uso nella decontaminazione delle zone umide poiché riducono la quantità di metallo che entra nella catena alimentare. Questo approccio potrebbe essere definito come “fitostabilizzazione”.
In assenza di iperaccumulatori, le piante che immagazzinano meno metallo nelle foglie e negli steli
rappresentano un rischio minore riguardo il foraggiamento degli animali. Coleotteri e lumache, per esempio, sono animali che hanno evidenziato la capacità di accumulare cadmio quando si nutrono di vegetazione cresciuta in aree contaminate.