Cambiamenti climatici e migrazione delle foreste

Il riscaldamento del pianeta provocherà uno spostamento delle fasce bioclimatiche verso i poli. Le conseguenze negative e la necessità di tenere conto nella pianificazione d'uso del territorio

Articolo tratto dal sito: DiSBA/CNR (http://www.daa.cnr.it/)

Le foreste migrano? Sì, lo hanno fatto in passato e ci si aspetta che possano farlo anche in futuro. Negli ultimi 13000 anni (dall’epoca dell’ultima glaciazione), il clima europeo ha subito un costante riscaldamento, che ha provocato un progressivo spostamento delle fasce bioclimatiche verso nord.
È noto, ormai da tempo, che le comunità biotiche forestali hanno seguito lo spostamento degli habitat a loro favorevoli attraverso un lento processo di disseminazione e ricolonizzazione degli ambienti che via via risultavano più adatti all’insediamento di ecosistemi forestali. La conferma arriva dai dati palinologici basati sulla presenza e l’abbondanza di polline delle diverse specie in depositi lacustri o di torbiera databili e disseminati in tutt’Europa. Essi hanno chiaramente accertato la ricolonizzazione nel tempo delle aree lasciate libere dalla copertura glaciale a partire da aree-rifugio localizzate nel sud Europa o nel nord Africa (penisola iberica, monti dell’Atlante, Italia meridionale, penisola balcanica).

Questione di genetica. I processi di migrazione delle popolazioni di organismi biologici lasciano traccia nel loro patrimonio genetico. Per le specie forestali, la ricolonizzazione di habitat favorevoli avviene normalmente per disseminazione da parte di un sottogruppo di individui che fanno parte della popolazione di origine. In assenza di processi selettivi, variazioni casuali nella composizione o nella frequenza allelica nel sottogruppo dei colonizzatori (processo noto come founder-effect dovuto a deriva genetica) lasciano tracce che possono persistere a lungo nel tempo nelle popolazioni insediatesi in un determinato ambiente.
A loro volta, i colonizzatori insediatisi danno origine a nuovi insediamenti, con variazioni casuali in termini di frequenza e composizione allelica, e così via.
È, pertanto, possibile ricostruire i percorsi migratori delle specie forestali, analizzando il percorso dei loro alleli a livello macrogeografico o valutando il gradiente di variazione delle frequenze alleliche delle attuali popolazioni. Attraverso studi 57genetici recentemente condotti su un elevato numero di specie forestali europee (pini, abeti, faggio, frassini, querce, ecc.) si sono ottenute importanti informazioni circa la localizzazione delle aree-rifugio (che sono dei naturali “serbatoi” di biodiversità genetica e funzionale) e dei percorsi migratori seguiti dalle specie nel processo di ricolonizzazione post-glaciale del continente Europeo.
Noto il punto di partenza dell’espansione delle specie (aree-rifugio), il percorso seguito, e il punto di arrivo (il fronte periferico dell’attuale distribuzione geografica), è possibile calcolare la velocità media di migrazione con cui le foreste hanno ricolonizzato l’Europa in seguito all’ultimo grande cambiamento climatico avvenuto nella storia del pianeta: tale velocità è variabile a seconda della capacità di disseminazione della specie, variando da 4-20 km per generazione.

Scenario futuribile. Serie climatologiche e modelli al calcolatore concordano nel prevedere, per i prossimi decenni, un riscaldamento medio del pianeta. Ciò provocherà uno spostamento delle fasce bioclimatiche verso i poli, in modo più accentuato nell’emisfero boreale. Lo spostamento degli habitat favorevoli innescherà, a sua volta, la migrazione delle foreste, come già è avvenuto in passato (e sta tuttora avvenendo).
Rispetto al passato, però, la velocità del cambiamento climatico è elevata e tale da superare di gran lunga la capacità delle foreste di colonizzazione e insediamento in habitat favorevoli. Ciò potrà avere una serie di conseguenze negative dal punto di vista del patrimonio di biodiversità delle nostre foreste:
(1) la composizione in specie delle foreste potrà cambiare in relazione alla capacità delle singole specie di far fronte al previsto cambiamento delle condizioni ambientali e a fattori di competizione interspecifica;
(2) nella maggior parte dei casi si assisterà ad una riduzione dell’estensione e ad un aumento della frammentazione degli ecosistemi forestali, innescando processi di deriva genetica e depauperamento genetico delle specie;
(3) in aree dove maggiore sarà l’effetto del cambiamento si potrà arrivare all’estinzione locale di specie forestali, in maggiore misura laddove esistono barriere all’espansione naturale ed alla migrazione (si pensi per esempio alle Alpi);
(4) aree attualmente deputate alla conservazione della biodiversità potrebbero risultare fortemente impoverite in termini di potenziale adattativo/evolutivo delle specie presenti e perciò non più funzionali allo scopo;
(5) le aree-rifugio localizzate nel sud dell’Europa (i maggiori “serbatoi” di variabilità genetica) sono le aree maggiormente esposte agli effetti del cambiamento climatico (per la desertificazione o tropicalizzazione del clima), il cui depauperamento genetico costituirebbe la maggiore perdita di biodiversità genetica e funzionale ed un grave danno alla ricchezza del nostro patrimonio forestale Europeo.

Pianificazione ed esigenze migratorie. Come far fronte nel breve-medio periodo alle suddette conseguenze negative? Sono stati sviluppati diversi modelli al calcolatore che, sulla base di differenti scenari futuri di cambiamento climatico, sono in grado di fornire previsioni sulla variazione della distribuzione degli habitat favorevoli per le diverse specie forestali a livello regionale.  La disponibilità di tali informazioni potrebbe permettere di creare un “atlante” dei territori a maggior rischio per ciascuna specie e per interi ecosistemi forestali europei, come base per una pianificazione efficace e coordinata delle attività di conservazione in-situ ed ex-situ della diversità genetica e funzionale delle specie.
L’individuazione delle aree a maggior rischio all’interno degli areali delle specie, dove creare “riserve biogenetiche” in grado di rappresentare i maggiori gradienti ecologici e di mantenere i pool genetici attuali nel tempo, e la creazione di “corridoi di migrazione” che assicurino la connettività tra habitat con conseguente riduzione della frammentazione, potranno continuare ad assicurare nel tempo quel processo di disseminazione, ricolonizzazione e insediamento in habitat favorevoli che ha permesso la sopravvivenza delle biocenosi forestali nell’ultimo periodo post-glaciale.
Recenti evidenze riportate nella letteratura del settore indicano, infine, che esiste una relazione tra biodiversità forestale (in termini di ricchezza ed equiripartizione delle specie, ma anche di diversità funzionale) e produttività degli ecosistemi forestali, caratteristica questa che va di pari passo con l’assorbimento di anidride carbonica dall’atmosfera (il gas-serra maggiormente responsabile dell’innalzamento delle temperature) e con la resilienza degli ecosistemi (cioè la capacità di ritornare all’equilibrio dopo perturbazione).

È auspicabile quindi che in futuro la gestione forestale e la pianificazione d’uso del territorio tengano in debito conto le suddette esigenze “migratorie” delle foreste. 

Foto. 
In copertina: In assenza di selezione, i processi di disseminazione e insediamento in nuovi habitat possono dare origine a variazioni casuali nelle frequenze alleliche (founder effect), generando dei gradienti di variabilità genetica la cui analisi permette di ricostruire la storia evolutiva e i processi migratori in specie forestali.  

In gallery (a destra): Distribuzione dei principali gradienti di variabilità genetica (PCA) all’interno dell’areale di Pinus pinaster. I pool genetici sud-orientali (in rosso) sono chiaramente distinti da quelli centro-iberici (in verde), così come da quelli atlantici (in blu).  Le popolazioni del sud-ovest della Francia sono considerate dei melting pot. Da: Bucci et al. 2007. Mol Ecol 16: 2137-2153. © Wiley


Gabriele Bucci
IBBR/CNR – UOS Firenze
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