Analisi del ciclo di vita del prodotto (LCA): una stategia per il vivaismo

Studio del sistema produttivo di un'azienda, schematizzazione delle fasi e analisi degli input, sono la base per calcolare l'entità dell'impatto ambientale. Esempi pratici nel verde ornamentale
L’analisi del Ciclo di Vita, in inglese Life Cycle Assessment (LCA), prevede lo studio di un sistema produttivo nel suo insieme, una sua schematizzazione in fasi principali e una attenta analisi dei vari input (consumi energetici, carburanti, materie prime, ecc.) per capire come questi interagiscono fra loro fino all'ottenimento del prodotto finito. L’analisi LCA consente di comprendere sia l’entità dell’impatto ambientele di un ciclo produttivo, sia le dinamiche con cui esso è generato.  I risultati quantitativi ottenuti, possono essere impiegati nella progettazione di linee produttive alternative con migliori performance ambientali. L’analisi LCA è regolamentata dalla norma ISO 14044, che prevede una metodologia  ufficiale, basata su quattro fasi principali:

1)      Definizione dell’obbiettivo e del campo di applicazione
2)      Fase di inventario, cioè la raccolta ed elaborazione dei dati in ingresso e in uscita (input e output) dal ciclo produttivo in analisi (Figura in gallery)
3)      Fase di valutazione degli impatti,  in cui i risultati sono caratterizzati e classificati in base alle categoria di impatto scelte (effetto serra, eutrofizzazione, acidificazione, ecc.)
4)      Fase di interpretazione, con l’identificazione dei risultati strategici in relazione agli scopi iniziali, la dichiarazione delle criticità, la valutazione di completezza, sensibilità e coerenza dei dati rilevati

La norma ISO cita anche le categorie di impatto utilizzabili, in altri termini gli indici ambientali con cui comunicare l’impatto ambientale; in genere la più impiegata è il Global Warming Potential (effetto serra potenziale), ovvero i Kg di CO₂ equivalente emessi in atmosfera durante la realizzazione del prodotto. Altre categorie di impatto di comune utilizzo sono: l’acidificazione potenziale, l’eutrofizzazione potenziale, l’assottigliamento dello strato di ozono, lo smog fotochimico, consumo di risorse non rinnovabili e tossicità per l’uomo e per l’ambiente (Baldo et al., 2008).
  
Esempi nella pratica. Negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha condotto varie applicazioni di LCA in diverse produzioni vivaistiche. Nella floricoltura protetta le criticità emerse sono state i consumi energetici, l’uso della plastica di copertura delle serre e dei contenitori (Russo and Mugnozza 2005; Russo et al. 2008 a, b; Russo e De Lucia Zeller 2008). Nella produzione di piante da esterno in vaso e in piena terra, le applicazioni condotte negli Stati Uniti (Kendall and McPherson, 2011; Ingram, 2012,  2013) danno valori assoluti simili alle ricerche italiane (Nicese e Lazzerini, 2013; Lazzerini et al, 2014.  Clicca QUI per leggere);
i risultati delle prime mostrano maggiori emissioni dovute ai consumi energetici, all’utilizzo di diserbanti e prodotti fitosanitari, mentre le seconde dovute alla plastica dei vasi e all’utilizzo dei substrati. Queste differenze sono dovute probabilmente da sistemi produttivi differenti, l’esempio più rilevante è l’ampio utilizzo di torba nei terricciati impiegati nel vivaismo italiano.

Questo materiale genera molte emissioni di CO₂ in atmosfera, principalmente a causa del suo trasporto su gomma dai Paesi Baltici di provenienza. La problematica della torba è emersa già in varie applicazioni di LCA condotte nel vivaismo Pugliese (De Lucia et al., 2008; Russo et al., 2011, 2013 a, b), tali ricerche hanno dimostrato le migliori performance ambientali e tecniche di diversi substrati “peat-free”.
 
La metodologia LCA potrebbe valorizzare sui mercati le produzioni vivaistiche, attraverso la Carbon footprint (impronta di carbonio) della “pianta ornamentale” (kg di CO₂ equivalente emessi durante la produzione), per poi comunicarlo al cliente, insieme  al carbon stock (carbonio stoccato) dello stesso prodotto, utilizzando un marketing apposito.  Il vivaista, seguendo il concetto cardine nell’analisi e certificazione ambientale del “miglioramento continuo”, potrebbe provare al cliente che la sua attività imprenditoriale ha performance ambientali via via migliori (Figura di copertina).
 
 
Certificazione e dichiarazione ambientale di prodotto. Per essere  convalidato, il percorso che porta alla certificazione EPD richiede  che siano rispettati i criteri e i requisiti stabiliti all'interno di un documento chiamato PCR – Regolamento Categoria di Prodotto, dove, appunto, si dettano le "regole" per poter effettuare l’LCA. Le PCR contengono l’indicazione sugli input del processo produttivo (fertilizzanti, pesticidi, prodotti fitosanitari, ecc) che sono potenzialmente in grado di produrre effetti sulla salute e sull’ambiente. Vengono indicati i confini del sistema produttivo  schematizzato, che comprendono gli impianti di produzione, i macchinari, la fase di coltivazione, l’ imballaggio e la distribuzione legati al prodotto in questione.

Per poter arrivare alla definizione della PCR specifica per il prodotto oggetto di certificazione è necessaria una consultazione pubblica che consenta di acquisire pareri e commenti attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori interessati, al termine del quale sarà ammessa la PCR definitiva, in modo tale da garantire il livello di accettazione più elevato possibile.

Attualmente per il prodotto “Pianta Ornamentale” non è ancora stata pubblicata una PCR, cosa questa che pone gli eventuali imprenditori vivaisti che si sottoponessero a certificazione EPD, in una posizione del tutto innovativa, con la possibilità, quindi, di ottenere buoni risultati nell’aumentare il valore aggiunto del proprio prodotto, nella conquista di nuovi mercati sensibili all’ambiente (Nord Europa)  e nel dimostrare il proprio comportamento “green” sia al cliente sia alla comunità.