Sul tetto di un condominio eco-sostenibile nel cuore del Bronx, a New York, una serra permette agli inquilini di coltivare per tutto l’anno frutta e verdura biologiche.
Pensando di enumerare le metropoli del pianeta maggiormente affollate, quindi fonti di inquinamento, con ogni probabilità l’elenco conterrebbe la città di New York.
Se poi all’interno della “Grande Mela” si volesse indicare un quartiere particolarmente problematico, nel senso sociale del termine, senza dubbio si farebbe riferimento al Bronx; oramai nell’immaginario collettivo emblema di criminalità, disagio, bassa qualità della vita.
Proprio qui, invece, contro ogni aspettativa, si trova un ottimo esempio di “eco-social housing”, termine ultimamente molto inflazionato in Italia, ma forse poco messo in pratica, che, in sostanza, si riferisce all’edilizia abitativa per popolazione a basso reddito, realizzata secondo criteri di sostenibilità ambientale e di alta efficienza energetica.
Stili di vita naturali. Arbor House: questo è il nome dato all’edificio residenziale costituito da 124 appartamenti, localizzato tra la 166
ma Strada e la Tinton Avenue di NYC.
Inaugurato lo scorso anno su iniziativa della Blue Sea Development, costituisce solo una parte del corposo progetto “New Housing Marketplace Plan”, promosso dal primo cittadino Bloomberg con partnership private, volto a ri-creare 165mila edifici per fasce di popolazione a basso reddito.
Il principio chiave su cui si basa è il rapporto d’equilibrio tra l’utente e l’ambiente, attraverso la creazione di condizioni e stili di vita tali da ripristinare, per quanto possibile in un habitat antropizzato all’interno di una metropoli, quella sinergia primordiale che legava l’uomo con la natura.
Bioarchitettura. Ne è dimostrazione anche l’ottenimento del massimo livello nella classificazione Leed, riferita a un rigoroso protocollo di certificazione ambientale americano.
Innanzi tutto quindi, massimo rispetto dei canoni della bio-architettura, come: l’utilizzo di materiali da costruzione locali e riciclati, le finiture interne atossiche e anallergiche, i sistemi naturali di purificazione dell’aria negli spazi comuni con l’uso di pareti vegetali, l’ottimizzazione degli apporti di luce naturale negli ambienti interni, la produzione energetica da fonti rinnovabili.
A questi aspetti si aggiungono strategie volte a favorire stili di vita salutari, come la collocazione degli spazi distributivi in modo da stimolare l’attività fisica.
Un orto sopra il tetto. Il fiore all’occhiello dell’intero progetto è collocato sul tetto dell’edificio, che invece di costituire il classico spazio tecnico perlopiù inutilizzato, se non per l’alloggiamento impiantistico, rappresenta l’ambiente eticamente più utile e significativo.
L’intera copertura è strutturata, infatti, come una vera e propria serra idroponica, dove tutti gli inquilini si adoperano nella coltivazione di frutta e verdura, ottenendo prodotti controllati completamente biologici da utilizzare nell’alimentazione quotidiana, con la garanzia di freschezza e salubrità, nonché col beneficio del risparmio economico dovuto all’auto produzione che, nel caso di eventuali eccedenze, viene messa a disposizione delle associazioni no-profit o di scuole e ospedali della comunità locale.
Coltivazione fuori suolo. Un sistema idroponico consente, quale tecnica di coltivazione fuori suolo, di far crescere le piante in un substrato inerte, in condizioni ambientali completamente controllate, regolando le irrigazioni con soluzioni nutritive minerali. Si evitano così problematiche tipiche del terreno naturale, come parassiti e malattie che possono comportare l’uso di antiparassitari non benefici per le colture stesse. I risultati sono quindi notevoli sia in termini di qualità che di quantità.
Efficienza energetica. A ciò si aggiunga l’effetto benefico che il tetto verde produce nel bilancio energetico dell’edificio: in inverno la serra determina un apporto di calore gratuito tramite il suo naturale surriscaldamento, mentre in estate le superfici verdi in coltivazione assorbono parte dell’onda termica, altrimenti destinata al solaio di copertura.
In sintesi, l’Arbor House dimostra come si possa (e si debba) intervenire anche in grandi contesti urbani, secondo un approccio volto a ri-stabilire un’armonia tra artificio e natura; una rigenerazione dove l’uomo, consapevole del suo legame vitale con l’ambiente, ne sfrutta le risorse in modo responsabile, limitandone gli impatti negativi sull’ecosistema e generando per di più un risparmio economico.
Fonte: http://www.nyc.gov/nycha