Biomeccanica degli alberi, disciplina da valorizzare

I principi della meccanica applicata alla vegetazione vengono spesso trascurati. Gli effetti delle potature, la carenza della ricerca e gli effetti sul paesaggio
La biomeccanica è l'applicazione dei principi della meccanica agli organismi viventi (sia animali che vegetali). In particolare fra i diversi campi di questa disciplina uno dei più interessanti sul piano pratico analizza il comportamento delle strutture biologiche quando sono sottoposte a sollecitazioni statiche o dinamiche. Per questo motivo è strettamente correlata alla bioingegneria, alla chinesiologia (quest'ultima infatti si occupa tra l'altro della biomeccanica degli esseri umani) e all'ingegneria tissutale.

Difetti delle forme. La biomeccanica vegetale, come già spiegato in un articolo pubblicato sulla rivista Acer, è una disciplina relativamente recente e alquanto complessa che, in parole semplici, oltre che ad approfondire le conoscenze di base sulla ecofisiologia degli organismi vegetali, si focalizza sulla capacità degli alberi di modificare la propria crescita “producendo” nuovo legno “di supporto” in prossimità di regioni molto sollecitate o indebolite per varie cause (marciumi, difetti strutturali). Questo fenomeno è conosciuto come “crescita adattativa” e ha l’effetto di causare irregolarità nella forma che sono denominate “difetti”. Per cui viene studiato il modo in cui gli alberi crescono in un determinato ambiente per fare fronte sia al supporto strutturale, sia alle funzioni biologiche.

Attenzione alla potatura. A questo proposito è fondamentale ricordare che la destabilizzazione conseguente alle operazioni di diradamento di una chioma aumenta esponenzialmente con l’età e l’altezza dell’albero. Niklas (2002) sottolinea che “quando rami e branche vengono sottoposti alla rimozione di porzioni confinanti di albero, zone che erano forti e resistenti potrebbero deformarsi o rompersi anche in condizioni di vento normali”. La potatura sposta, infatti, l’equilibrio di carico nelle branche o nelle radici e ciò può avere effetti negativi sull’assetto biomeccanico dell’albero, diminuendone il fattore di sicurezza, definito come quoziente tra la capacità di carico massima (carico di rottura) e il carico reale della struttura o anche il punto di rottura della struttura al massimo stimato con un uso ordinario (Niklas, 1999; 2002).

Esperienze estere. Articoli e libri di Mattheck, Wessolly e altri negli anni ’90 introdussero la biomeccanica nel mondo dell’arboricoltura e gli arboricoltori cominciarono a descrivere gli alberi come strutture ingegnerizzate, usando equazioni e termini tipici dell’ingegneria dei materiali. Sulla scia delle prime intuizioni, quindi basate sull’osservazione e non su parametri rigorosamente scientifici, cominciarono a essere approntate le prime ricerche. Queste, condotte per la quasi totalità all’estero, hanno prodotto un’ampia bibliografia sulla biomeccanica degli alberi. Molti degli esperimenti sono stati effettuati, tuttavia, su alberi singoli mentre la gran parte degli esemplari si trovavano in insiemi dove la loro struttura e l’esposizione al vento sono influenzati dagli alberi limitrofi o dall’edificato. Gli esperimenti di biomeccanica sono stati eseguiti per quantificare le forze imposte sugli alberi e la loro capacità di sopportare il carico o fallire. In ragione della complessità dei fenomeni sono stati sviluppati dei modelli per “spiegare” specifiche modalità di cedimento e solo raramente è stato possibile verificarli mediante sperimentazioni scientifiche replicabili.

Capacità degli operatori. Manca purtroppo, nel nostro Paese, la ricerca di settore perché non si è mai pensato in modo proattivo nel cercare di capire la biomeccanica degli alberi e poterne prevedere, in maniera meno empirica, le reazioni alle sollecitazioni esterne. Sappiamo che ogni albero ha una risposta differente in base alla specie di appartenenza, età, storia e condizioni di crescita. C'è un'enorme differenza tra il modo in cui, ad esempio, tra il comportamento di una giovane betulla flessibile e di una quercia maestosa in condizioni di vento forte. Un arboricoltore deve capire le caratteristiche di ogni albero individualmente al fine di valutarne la stabilità e cercare con interventi ad hoc di ridurre il livello di rischio.

L’importanza di nuove soluzioni. È chiaro che la ricerca ha un costo (non solo di tipo economico) ma anche numerosi benefici: rappresenta la strada per lo sviluppo economico, sociale e culturale di un paese, una strada che l’Italia deve percorrere “ad alta velocità” per recuperare una posizione che ci vede meno competitivi degli altri Paesi europei ed extraeuropei. Questo potrebbe sembrare solo un proclama politico, ma se si pensa al costo sociale e, purtroppo, talvolta anche di vite umane che la caduta di alberi determina, forse il costo immediato per la ricerca potrebbe rilevarsi un ottimo investimento per il futuro. Anche la conoscenza approfondita della biomeccanica degli alberi, che può non sembrare una priorità, può contribuire a rispondere ai bisogni della collettività in modo efficiente, migliorare la qualità della vita dei cittadini. Per farlo è, però, necessario fare ricerca e trovare soluzioni nuove puntando sulla competitività dei ricercatori, competitività che nasce proprio dalla possibilità di avere finanziamenti adeguati, dalla formazione e dalla loro capacità di lavorare a cavallo tra aree disciplinari diverse e verso ambiti di intervento strategici.
Con i proclami non si risolve niente, se non accendere polemiche sterili che spesso sono capziose e volte solo a denigrare il lavoro di coloro che, oltre alla passione, ci mettono anche tempo e denaro propri. È molto comodo "togliersi il dente" affidando ad altri il compito di dare risposte o di assumersi responsabilità. Solo la continua osservazione, lo studio approfondito e la costruzione di database continuamente aggiornati sulla caduta degli alberi possono realmente fornire un concreto aiuto al lavoro degli arboricoltori.