Aree prative submontane, pregiate figlie del passato

Utilizzate in passato come sede di un’agricoltura prevalentemente a vite, cereali e patate, molte sono divenute poi fonte di foraggio per il bestiame. E il suo ruolo ecologico non è da sottovalutare
Il fatto che nell’orizzonte delle latifoglie termofile i climax siano costituiti da comunità arboree ci ha indotti a privilegiare la trattazione dei consorzi di alberi. In àmbiti submontani non mancano, tuttavia, anche aree prative, di regola frutto di antichi disboscamenti, e pure prati arbustati e arbusteti, che costituiscono fasi intermedie verso la ricostituzione dei boschi preesistenti all’intervento dell’uomo.
Le aree prative submontane sono costituite soprattutto da esemplari di numerose specie di graminacee, ciperacee e varie dicotiledoni erbacee; man mano che si sale in quota si affermano le entità plurienni su quelle annue e bienni. Al momento queste fitocenosi occupano superfici sempre più ampie man mano che si scende verso le regioni appenniniche meridionali, in cui maggiore è stata la pressione antropica rispetto al resto d’Italia (coltivazioni e soprattutto pastorizia). La tendenza, tuttavia, è quella di una riduzione dell’estensione delle aree prative per effetto del parziale esodo delle popolazioni rurali dalle zone più ingrate delle pendici montane, con conseguente ritorno della vegetazione legnosa.

Utilizzate in passato come sede di un’agricoltura prevalentemente a vite, cereali e patate, molte di queste aree sono divenute poi fonte di foraggio per il bestiame pascolante. Dove si estendono piante infestanti (felci aquiline, rovi, vitalbe, sulle altre specie), si può essere certi che si tratta di una conseguenza dell’abuso del fuoco controllato, impiegato per respingere il ritorno della vegetazione legnosa, oppure del ripresentarsi di incendi (più dolosi che colposi) negli stessi luoghi. Questi argomenti saranno approfonditi meglio in seguito.

Dove le aree prative submontane si stanno riducendo drasticamente sarebbe auspicabile un intervento attivo per garantirne la conservazione; non sarà male ribadire che la ricchezza di habitat e di biocenosi si traduce in un aumento della biodiversità complessiva: è sempre opportuno conservare la maggior ricchezza possibile dei popolamenti vegetali e di quelli animali come numero sia di specie sia di individui. Infine una copertura vegetale varia, in cui abbiano diritto di cittadinanza anche le aree prative, assume un maggior pregio pure sotto il profilo estetico-paesistico.

Lungi, quindi, dal lasciar fare alla natura sempre, comunque e dovunque, si propende per una difesa attiva, contro lo svolgersi del dinamismo vegetazionale, delle aree prative in tutte quelle situazioni in cui, su pendii poco acclivi, queste stiano per scomparire a vantaggio delle fitocenosi legnose, in particolare in corrispondenza di crinali, sempre più stabili dei versanti che li delimitano. Ovviamente deve essere bandito in questi casi l’uso del fuoco controllato.