La foresta dei violini

Gli abeti di una particolare zona del Trentino hanno caratteristiche fisiologiche particolari per la propria risonanza. Anche il maestro Stradivari ne fu attratto
Nel cuore del Trentino, in Val di Fiemme, risalendo la strada che da Predazzo conduce verso Passo Rolle si viene avvolti dall’ombra di una maestosa foresta, in larga parte costituita dall’Abete Picea (Picea abies), meglio noto come Abete Rosso, per la colorazione della sua corteccia.
 
Foresta dei violini. Ora usiamo l’immaginazione per fare un salto nel passato: siamo tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700, magari in pieno inverno, uno sguardo attento tra i numerosi fusti della foresta ed ecco comparire una figura umana scrutare con attenzione ogni esemplare arboreo; si tratta del leggendario maestro liutaio cremonese Antonio Stradivari, intento nella scelta dell’abete più idoneo per la realizzazione di uno dei suoi inimitabili violini.
Non è un caso, infatti, che la foresta di Paneveggio, di cui stiamo parlando, sia tutt’ora conosciuta anche come “Foresta dei Violini”, proprio perché da secoli è la culla di abeti unici al mondo, per le loro caratteristiche fisiologiche, che li rendono ideali per la fabbricazione delle tavole armoniche degli strumenti musicali.
Tra le piante più longeve al mondo e appartenente alla famiglia delle Pinacee, l’abete rosso è una conifera piuttosto diffusa sull’arco alpino e nel nord Europa; può raggiungere altezze fino a 60 metri, con portamenti dipendenti dalla quota altimetrica e dalla zona, ma comunque costituiti da un tronco diritto e una chioma conica che diminuisce di ampiezza all’aumentare dell’altitudine, per contrastare il peso della neve invernale; l’elasticità e l’uniformità di questa specie arborea sono alla base della sua capacità di amplificare il suono.
 
Abete “di risonanza”. Solo una piccolissima percentuale degli abeti rossi della Val di Fiemme, però, raggiungono quella perfezione unica nel propagare in modo particolarmente armonioso le onde sonore che li colpiscono, per questa peculiarità sono comunemente denominati abeti “di risonanza”.  Sono caratterizzati da fusti cilindrici e rettilinei, fibratura diritta e parallela, anelli di accrescimento annuali particolarmente sottili e regolari, assenza di imperfezioni o difetti; questo connubio sinergico di qualità viene acquisito dall’esemplare non prima dei 150 anni di vita, anche grazie alla sua lenta crescita in un clima particolarmente rigido con una stagione vegetativa molto breve. C’è di più: diverse ricerche hanno dimostrato che per la creazione dei propri capolavori assoluti, i maestri liutai dell’epoca settecentesca, utilizzarono un particolare tipo di abete di risonanza, chiamato impropriamente abete “maschio”, caratterizzato da introflessioni degli accrescimenti anulari (maschiature) diffuse in modo omogeneo lungo il tronco che acquisisce superficialmente un tipico aspetto unghiato. La vera motivazione di questa singolare scelta non è ancora stata ben compresa: alcuni sostengono derivi dal semplice gusto estetico, altri che dipenda da ragioni acustiche e costruttive. Sta di fatto che quella che tecnicamente rappresenta un’anomalia biologica è tutt’ora uno dei segreti di fabbricazione del Maestro Stradivari, capace di realizzare capolavori assoluti di qualità sonora incomparabile.
 
Maunder Minimum. Un tassello sulla comprensione di questo intrigante “mosaico d’enigmi” sembrerebbe aggiungersi grazie ai risultati di una serie di studi: tra il 1645 e il 1715 si verificò il cosiddetto “Minimo di Maunderm”, una piccola era glaciale a cui fu sottoposta l’Europa continentale, con abbassamenti delle temperature tali da ridurre, con ogni probabilità, l’attività foto-sintetica delle piante che, riducendo la loro velocità di accrescimento, formarono di conseguenza legni particolarmente compatti ed elastici, come mai più nelle epoche successive.
 
Probabilmente ignaro di essere al posto giusto nel momento giusto, Stradivari, come altri grandi liutai dell’epoca, ebbe l’abilità di sfruttare queste condizioni irripetibili per realizzare oggetti altrettanto irripetibili fino ad oggi, nonostante l’evoluzione tecnologica plurisecolare; forse perché “la natura non fa nulla di inutile”[Aristotele].