Piante di cera: storica collezione di eleganza

Nel museo di Storia Naturale di Firenze, vengono conservati modelli realizzati a partire del diciottesimo secolo. Fondamentale il loro ruolo di divulgazione nel passato
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Un giardino botanico speciale o, meglio, una serra, visto che le piante sono esotiche e tutte in vaso. Il contenitore, preziosissimo, è di porcellana Ginori di Doccia, e i vegetali sono in cera, alloggiate in un grande armadio accanto alle sale che ospitano l’erbario più importante d’Italia, quello del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze.

Tra storia e scienza. Al pari della più famosa Specola, o sezione di  Zoologia, la sezione di Botanica del Museo possiede una ricchissima collezione di modelli in cera, sia di piante in vaso e di frutti a grandezza naturale che di preparati illustranti l’anatomia, la fisiologia e alcune patologie vegetali su tavole di legno.
Essa venne realizzata tra la fine del XVIII secolo e la seconda metà del secolo successivo in quella stessa Officina di Ceroplastica da cui provengono le cere anatomiche ancora oggi conservate alla Specola e allestita all’interno dell’Imperiale e Regio Museo di Fisica e Storia Naturale. Un istituto fondato nel 1775 da Pietro Leopoldo di Lorena.

L’arte ceroplastica, ovvero il saper scolpire in cera, aveva a Firenze una lunga tradizione che risaliva al XIV secolo, quando, per scopi soprattutto devozionali e propiziatori ma anche celebrativi, venivano fatti realizzare ritratti e statue, così come membra, organi o parti di essi a grandezza naturale, i cosiddetti «ex voto». Nel XVII secolo iniziarono a comparire anche riproduzioni a scopo scientifico: fu a Bologna, sede di una famosa scuola anatomica, che si formarono i primi modellatori di anatomia.
Nel 1790, solo quindici anni dopo la fondazione del Regio Museo di Fisica e Storia Naturale, i modelli anatomici ne occupavano già 8 sale, oltre a quelli realizzati per conto di altre istituzioni, sia italiane che straniere; inoltre era già  iniziata la produzione delle cere botaniche, soprattutto modelli a grandezza naturale di piante a fiore in vaso e frutti, in particolare agrumi, ma anche ortaggi, come zucche e poponi.
 
I modelli delle piante in vaso. La funzione divulgativa fu, molto probabilmente, quella che promosse la realizzazione delle poco meno di 200 piante a grandezza naturale durante la pur breve esistenza dell’Officina di Ceroplastica. Ovviamente ci fu anche il ruolo documentario, trattandosi in grandissima maggioranza di riproduzioni di piante esotiche, cioè che non crescevano in Italia e nemmeno in Europa, bensì provenivano dalle esplorazioni naturalistiche di regioni come l’America latina, l’Africa del sud, l’estremo Oriente. Se scorriamo, infatti, l’elenco dei nomi di queste piante, ci rendiamo conto che si tratta di vere e proprie ‘primizie’ per chi visitasse il Museo negli anni tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.

Primizie botaniche. Solo qualche esempio: uno dei modelli più belli e conosciuti è sicuramente quello della Strelitzia reginae, chiamata dagli anglosassoni «bird-of-paradise flower» per il fiore che ricorda un uccello. Ebbene, essa venne scoperta dal noto cacciatore di piante inglese Francis Masson che, al seguito della seconda spedizione di Cook, esplorò dal 1772 al 1775 il Sud Africa e riportò al Giardino Botanico di Kew più di 400 specie nuove, tra cui proprio la Strelitzia. Questa arrivò in Italia qualche anno dopo, precisamente nel 1822; il nostro modello in cera venne realizzato sicuramente prima del 1838, quindi possiamo davvero affermare che quella fu una delle prime volte che questa affascinante pianta poté essere mostrata nel nostro paese!
E, ancora, la specie Aloe succotrina, arrivata in Italia dall’Africa meridionale nel 1772 ed il cui modello venne iniziato nel 1798, o la nota Magnolia grandiflora, il cui modello è rappresentato da un rametto con il caratteristico fiore eburneo e le foglie dall’aspetto coriaceo. Ma non tutti sanno che al momento in cui esso venne realizzato non erano passati moltissimi anni da quando questa specie, che oggi tutti conoscono, era stata per la prima volta introdotta dall’America settentrionale in Europa, precisamente in Francia nel 1737, per arrivare in Italia solo nel 1760.

Capostipite della nomencaltura. Considerazioni molto simili possono essere fatte per un’altissima percentuale dei modelli della collezione, che dovevano proprio mostrare al pubblico e agli studiosi la meraviglia e la varietà delle piante a fiore nel mondo, i loro colori, le forme insolite dei fusti e delle foglie: questi ultimi, addirittura, totalmente trasformati in strutture particolari nelle tante succulente presenti nella collezione e appartenenti ai generi Euphorbia o Cactus. Ma i modelli delle piante in vaso non dovevano solo stupire, bensì anche educare e questa funzione veniva assolta dal nome scientifico, in latino, scritto sul cartiglio bianco del vasetto, che segue già la nomenclatura binomiale introdotta in quegli anni da Carlo Linneo che, nel 1753, con il suo Species Plantarum aveva stabilito un nuovo modo per classificare e denominare le piante.
Nel Regio Museo fiorentino viene rapidamente recepito questo modo per indicare i nomi dei vegetali ed ecco che questi vengono scritti sui vasi ma, soprattutto, ogni modello ha accanto una piccola conchiglia di porcellana, nella quale sono posti ingranditi gli organi riproduttivi di quella pianta, cioè di quegli organi che, sempre secondo Linneo, servono a classificare i vegetali in gruppi omogenei. A fianco, quindi, dell’aspetto estetico di questa collezione grande importanza assume la sua scientificità, evidenziata oltre modo dalla esatta riproduzione del seppur minimo particolare, come uno stame o una sfumatura di colore, come pure una macchiolina su una foglia o l’appassimento di un petalo.

Raffinatezza di elaborazione. Ogni modello veniva realizzato copiando dal vero una pianta in fiore, magari dopo averne disegnato i particolari più deperibili per non perderli. Grazie alle analisi effettuate nel corso di alcuni restauri, si è potuto appurare che ogni pianta, realizzata in pura cera d’api, ha uno scheletro di metallo, di ferro, rame o argento, sul quale venivano modellati fusto, foglie e fiori generalmente con la cera già del colore voluto. Le sfumature venivano poi fatte a lavoro ultimato. Le strutture più piccole e particolari, come i pistilli e gli stami, ma anche le spine, venivano di volta in volta realizzate mediante accorgimenti che potremmo definire geniali, come, ad esempio, sottilissimi fili di seta imbevuti nella cera colorata o aculei reali, tolti dalla vera pianta e ‘trapiantati’ sulla riproduzione in cera. Ogni modello ha poi una base di gesso che rimane ricoperta di terra (vera!) nell’elegante vaso di porcellana Ginori di Doccia, vero e proprio emblema del gusto raffinato di chi ideò questa collezione e di chi la realizzò, ma anche sicuramente emblema della mentalità di un’epoca in cui ancora la scienza si faceva accompagnare dalla bellezza e dall’arte.
 
Patrimonio da accudire. La collezione è unica al mondo ed i suoi pezzi sono spesso richiesti da mostre ed esposizioni in Italia e all’estero, ma ha subìto ovviamente i danni del tempo: polvere, rotture, perdita di materiali.
Il restauro si è da sempre affidato alla generosità volontaria di quanti, soprattutto privati, apprezzano la bellezza e raffinatezza nonché unicità di questi modelli. Da qualche anno esiste anche un accordo con l’Opificio delle Pietre Dure, prestigiosa istituzione fiorentina nel settore del restauro, che dà modo a quanti vogliano contribuire, di ‘adottare’ un modello per il suo recupero.

Per donare il proprio contributo basta collegarsi al sito del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze (http://www.msn.unifi.it/) e leggere le istruzioni nella pagina dedicata alla collezione: ‘Un tesoro da salvare: la collezione lorenese delle cere botaniche’.
 

Note sull'autrice: 
Chiara Nepi si occupa della conservazione, gestione e studio delle collezioni appartenenti alla Sezione di Botanica, compreso la loro catalogazione e inventariazione nonché la gestione del link ai campioni typus digitalizzati. Singolarmente o in collaborazione con altri ricercatori si è occupata della raffigurazione delle piante nell'arte, della loro identificazione e significato.Ha curato (in collaborazione) numerose mostre, sia della Sezione che esterne.
 
Foto di Di Sailko - Opera propria, CC BY 3.0