Gelide scintille di vita

Chlamidomonas nivalis è un'alga che tinge di rosso le nevi e alimenta numerose leggende popolari. Ma basta un microscopio per scoprire un brulicante microcosmo.
Inverno, ghiacciaio della Marmolada, poco sotto la vetta di Punta Rocca: una tramontana impetuosa e impietosa spazza senza requie il pendìo, rendendo l’ambiente ancor più repulsivo per i comuni mortali. Qua e là, poco sotto la linea di crinale, piccole chiazze color sangue vivo tingono la neve fresca. Una qualche forma d’inquinamento? Una predazione in alta quota? Tutt’altro: una sommessa, commovente affermazione di vita. Una vita microscopica, solo a tratti palese: milioni e milioni di alghe verdi unicellulari (Chlamidomonas nivalis), trovandosi in condizioni per loro ideali, hanno sintetizzato grandi quantità di un pigmento rosso. Celluline diffuse dal vento (si parla di “crioplancton”), idonee a popolare ghiacci e nevi dei due emisferi, anche l’Artide e l’Antartide, idonee a sopravvivere a 60° sotto zero ma destinate a morire, per distruzione delle loro proteine e in particolare dei loro enzimi, non appena la temperatura si alzi a 4-5° sopra lo zero.

Loro malgrado queste minuscole alghe sono responsabili di un buon numero di leggende terrificanti sul mondo dell’alta montagna: immaginiamo, secoli fa, ardimentosi valligiani spingersi, in inverno, nel regno delle nevi e, tutto ad un tratto, trovarsi di fronte ad una candida distesa, qua e là “insanguinata”: è intonsa: nemmeno un’orma rompe l’uniformità della superficie: evidentemente un combattimento tra due mostri alati, e il vincitore, sempre in volo, ghermito il corpo del vinto, si è trasferito nel suo nido, se ne è pasciuto ed ora, magari, sta guatando me, sua prossima preda.
Disponendo di un microscopio binoculare, già a poche decine d’ingrandimenti ci accorgeremmo che quello che sembra una semplice chiazza di neve colorata è un microcosmo che brulica di vita: le alghe costituiscono il menu di minuscoli animaletti erbivori, i quali, a loro volta, servono da cibo per i carnivori: una lillipuziana biocenosi, insomma, che, con l’habitat che la ospita, forma un ecosistema minimo ma complesso.
Quali gli animali? Collemboli, tardigradi, infusori …, nomi noti solo agli specialisti; la meglio visibile è la “pulce dei ghiacciai” (Isòtoma saltans), un collembolo dal corpicino scuro che, se in grande quantità, fa sembrare sporca la neve: non ha nulla a che vedere con le pulci ma si muove saltellando, donde il nome.

A volte si notano chiazze verdastre; è probabile che si tratti di un’altra alga unicellulare, lo Stichococcus bacillaris. Chiazze di un colore blu scuro sono da ascrivere, invece, a cianobatteri (un tempo chiamati “alghe azzurre”): in questo caso si deve proprio parlare di minime “scintille di vita”: un migliaio di celluline infinitesime starebbe comodamente in una sola cellula di Chlamidomonas: una chiazza blu di un decimetro quadrato ne contiene miliardi e miliardi.
La colonizzazione di ambienti estremi da parte della vita è davvero un fenomeno strabiliante e commovente. Quanto meno per gli escursionisti sensibili e per gli amanti della natura in generale.
Con gli articoli di aboutplants.eu siamo partiti dalla calda natura mediterranea e siamo giunti al gelo astrale delle vette. Il tema, pur nella sua estrema sintesi, può dirsi svolto. Un grazie di cuore al paziente lettore e al giornale on-line che ha ospitato questi contributi.
 
Foto di Ökologix / CC BY-SA