Dinamismo vegetale, questo sconosciuto

Il disordine urbanistico e quello edilizio sono facilmente percepibili. Quello vegetazionale, no
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Il professor Enrico Martini collaborerà con aboutplants.eu curando una rubrica tutta particolare e di prestigio. Sarà dedicata alla copertura vegetale del territorio italiano, ai suoi multiformi aspetti, ai suoi problemi e ovviamente alle proposte operative per risolvere criticità di varia natura, purtroppo presenti anche su vasta scala (si pensi, a esempio, al degrado dovuto agli incendi o alle conseguenze di precipitazioni inusitate, sempre più frequenti nel nostro Paese). In questa primasaranno definiti concetti di base la cui conoscenza è indispensabile per poter approfondire temi, comprendere problemi, condividere proposte operative.

Nel corso di una lectio magistralis (Pistoia, 11 aprile 2013), in occasione del “lancio” di AboutPlants, ai convenuti venne posto il quesito “Il disordine urbanistico e quello edilizio sono facilmente percepibili; quanti sanno riconoscere il disordine vegetazionale?”. Pochi specialisti, verrebbe da rispondere. 


Rispetto delle esigenze ambientali.
Nel campo della botanica è lecito nutrire il sospetto che la superficialità regni diffusamente. Un solo esempio: persone, animate da buona volontà ma sprovviste di un’adeguata cultura ecologica, a ogni conclusione delle festività di fine d’anno, inviano ai giornali lettere con cui stigmatizzano l’abbandono, presso i cassonetti dell’immondizia, di alberi di Natale “che potrebbero essere piantati in aiuole, parchi e giardini”. Nessuno degli scriventi si pone il quesito “dove cresce spontaneamente l’abete rosso (il classico albero di Natale)?”. Si tratta di un’entità europeo-siberiana: disporne un esemplare nella medesima aiuola accanto a una palma nana (stenomediterranea occidentale), costituirebbe una forzatura ecologica e anche culturale: una forma di disordine (in un àmbito che non abbia finalità didattiche). Costringere a vivere affiancati una renna e un dromedario susciterebbe critiche dei benpensanti, obbligare un abete rosso e una palma nana a fare altrettanto, no; il rispetto delle esigenze ecologiche, però, non deve costituire una prerogativa esclusiva delle specie animali!

Esigenze ecologiche. Un’analoga superficialità è riscontrabile a proposito del manto vegetale: in un territorio si è portati inconsciamente a considerare stabile nel tempo la vegetazione che lo ricopre. Un’impressione errata: una tendenza evolutiva perennemente in atto procede in sintonia con il variare delle condizioni microambientali, determinando una transizione da una comunità iniziale a una finale attraverso una serie di stadi evolutivi intermedi. Per la messa a dimora di una pianta in un parco o in un giardino è necessario conoscere le esigenze ecologiche della specie e, nei limiti del possibile, privilegiarne il rispetto; analogamente, per interventi sulla copertura vegetale di un territorio, occorre individuarne la tendenza evolutiva: se non vi è l’esigenza di sfruttare risorse sotto il profilo economico, sia chiaro che è possibile “creare” manti vegetali artificiali ma sarà necessario difenderli periodicamente dal ritorno della vegetazione spontanea, di regola più competitiva: un onere economico, di tempo e di impegno di lavoro umano. Su un suolo rupestre privo di copertura vegetale, nella maggior parte del territorio italiano si passa dall’assenza di vita a un popolamento di piccole e frugali piante pioniere (in una prima fase essenzialmente licheni e muschi), quindi a una vegetazione erbacea sparsa e poi più addensata, cui subentra un popolamento di suffrùtici, cioè di piante legnose nane (Thymus vulgaris, Euphorbia spinosa e così via); erbe e suffrutici verranno eliminati progressivamente da arbusti, quindi si perverrà a un bosco; quest’ultimo, stabilizzandosi i parametri pedologici e microclimatici, finirà per possedere una composizione floristica più o meno uniforme, con il dominio, in genere, di un’unica specie arborea e con un corteggio di forme, prevalentemente erbacee, strettamente correlato a quella arborea prevalente. Una fitocenòsi evoluta, stabile e in equilibrio con l’ambiente, viene detta “climax” ed è destinata a durare finché le condizioni ecologiche complessive resteranno invariate. Il principale fattore limitante per la persistenza di una comunità vegetale è rappresentato dalla scarsità di luce che si instaura progressivamente a livello del suolo quando riescono ad insediarsi e a diffondersi esemplari di specie di maggiori dimensioni.

Vegetazione, esempi di dinamismo. Riassumendo, la vita vegetale ha la tendenza a organizzarsi in comunità sempre più complesse, caratterizzate da livelli progressivamente crescenti di massa vivente, di energia chimica disponibile e di accumulo di materia organica sul terreno. Negli stadi dinamici che precedono il climax ogni fitocenosi è più esigente di quella che l’ha preceduta e più frugale di quella a lei successiva; ognuna, nei limiti delle proprie capacità, migliora il suolo, abbandonando residui organici che miliardi di batteri e funghi saprofìti microscopici metabolizzano, liberando princìpi inorganici idonei ad essere nuovamente utilizzati da vegetali superiori. In pratica ogni fitocenosi mitiga l’iniziale severità dell’habitat, favorisce l’impianto di esemplari di specie più esigenti e verrà da loro eliminata (bell’esempio di autolesionismo).Stadi dinamici successivi, di complessità via via crescente,  costituiscono una “serie dinamica normale”. Fattori di degrado (incendi, frane, fitopatìe, altre cause perturbatrici), “ringiovaniscono” (in senso negativo) la copertura vegetale, originando una “serie dinamica regressiva”. Tornata la vegetazione in uno stadio più o meno precoce, si riafferma col tempo la tendenza verso fasi di complessità crescente: si instaura nuovamente una serie dinamica normale.

Negli ambienti severissimi per la vita vegetale le comunità pioniere possono permanere, impossibilitate ad evolversi, per secoli o millenni: non si tratta di climax ma di “associazioni durevoli”. Altri popolamenti, costruiti dall’uomo, caratterizzati da un estremo addensamento degli esemplari (rimboschimenti, macchie a robinie ceduate ecc.), destinati a permanere per tempi lunghissimi anche per la grande plasticità ecologica delle specie impiegate, vengono invece definiti “paraclimax”.