La bellezza dei prati alpini

Importanti barriere che proteggono i pendii dall'erosione e offrono nutrimento per gli animali al pascolo
Sulle Alpi, alla fascia in cui le piante legnose (alberi, arbusti, suffrutici) tendono a dominare, subentra, più in quota (più o meno oltre 2500 metri sul mare), il dominio dei prati alpini, a composizione floristica assai variabile ma con una caratteristica quasi costante, la varietà e la ricchezza della fioritura.

I fitosociologi hanno distinto un gran numero di alleanze e di associazioni, su calcare e su silice; una trattazione approfondita, però, esula dalle finalità di questa esposizione, rivolta, pur nella sua stringata essenzialità, a pianificatori territoriali, mondo della scuola e amanti della natura in generale. Limitiamoci a ricordare che le famiglie che annoverano il maggior numero di rappresentanti di elevato pregio estetico complessivo sono soprattutto composite, leguminose, ranuncolacee, campanulacee, genzianacee, scrofulariacee, labiate, orchidacee, i cui fiori, presi nel loro insieme, sono una gioia per gli occhi degli escursionisti sensibili. Ovviamente sono pure presenti, spesso dominanti, molte graminacee, ciperacee, juncacee, dalla fioritura tutt’altro che appariscente.

Non possiamo diffonderci sull’argomento: si rischierebbe di proseguire per varie puntate riducendo il testo ad un arido elenco di generi e specie; d’altronde numerose sono le pubblicazioni che prendono in esame composizione floristica e peculiarità vegetazionali: a questi libri, alcuni dei quali riccamente illustrati, può rivolgersi chi desiderasse approfondire ulteriormente l’argomento. A giudizio di chi scrive, tuttavia, meritano quanto meno di essere citate l’associazione a Carex sempervirens e Sesleria varia (per la sua grande estensione lungo i massicci calcarei della catena alpina e per la ricchezza tutta particolare della fioritura), l’associazione a Carex curvula (climax dei pascoli su silice e, teoricamente, anche di quelli su calcare, una volta sufficientemente acidificato il substrato), l’associazione a Nardus stricta, indizio di eccessivo pascolamento (il nardo è una graminacea minima, ultracoriacea, resistente al calpestio del bestiame e da questo rifiutata per il suo infimo valore pabulare); infine l’associazione ad Elyna myosuroides, dominante sulle creste ventose più elevate, in condizioni quasi esiziali per le piante superiori (azalea delle Alpi compresa).

I prati alpini sono importanti per due motivi pratici: lottano strenuamente contro l’erosione dei pendii tipica delle stazioni a terreno abbondante, su suoli acclivi, alle quote maggiori, e offrono agli animali pascolanti un cibo particolarmente gradito, base per la produzione di ottimo latte: la pratica dell’alpeggio data da alcuni millenni, quanto meno dalla fase di particolare aridità verificatasi durante l’Età del bronzo, cui risalgono molte incisioni rupestri di aree alpine a quote elevate. È finito il tempo in cui si falciava l’erba sui pendii più alti e ripidi, magari ricorrendo a particolari ramponi da fissare agli scarponi, ed anche quella in cui si andava a spargere letame sulle zone erose d’alta quota (incombenza che, nel nucleo familiare, era riservata di regola al figlio più piccolo). D’altronde i tempi cambiano e non ci si può che rallegrare che la vita in alta montagna sia diventata meno dura; semmai ci si deve dolere che un certo tipo di turismo, pur apportatore di benefìci in sede locale, sia qua e là irrispettoso degli ambienti di alta quota.