La diffusione delle piante nell'Antropocene

Quanto incide l'attività antropica nel mondo vegetale? Una nuova ricerca inizia a dare delle risposte
L'utilizzo della Terra da parte dell'uomo ha trasformato più di tre quarti della biosfera in ambienti antropici, sostituendo l'ecosistema naturale. Questa trasformazione diretta degli ecosistemi sta causando cambiamenti globali senza precedenti nell'alterazione della biodiversità. Si pensi, per esempio all'estinzione di numerose specie autoctone e alla contemporanea affermazione di specie esotiche.

È noto che la ricchezza di specie di ogni area del pianeta segue modelli di latitudine, clima e topografia. Non sono però studiati i modelli secondo i quali l'uomo diffonde le specie vegetali, nonostante l'importanza di questo dato vista la sua incisività nel contesto ecologico globale. Questo avviene poiché si tende a vedere l'attività antropica come un fenomeno recente e disordinato, e le misure di contrasto mirate solo alla riduzione o all'eliminazione.
Il biologo Eugene Stoermer (1934-2012) coniò negli anni '80 il termine Antropocene per indicare l'era geologica attuale, influenzata dalla presenza dell'uomo. L'uomo ha cambiato radicalmente la Terra e questi cambiamenti non sono né temporanei né evitabili. Le conseguenze però possono essere prevedibili e potenzialmente gestibili se studiate con attenzione.

Una ricerca tedesca/statunitense presenta la prima valutazione integrata spaziale dei modelli globali di influenza antropica sulla diffusione delle piante vascolari. Sono state osservate, su scala regionale, le piante estinte e le nuove specie introdotte fornendo dati sulla ricchezza specifica regionale.
L'uso di modelli globali e di procedure di stima empiriche hanno permesso la valutazione quantitativa di una vasta gamma di variazioni di origine antropica nei modelli di diversità dei vegetali in tutta la biosfera terrestre. La maggior parte delle stime incorpora sostanziali incertezze (indicate di seguito tra parentesi quadre) a causa della complessità dell'argomento esaminato.
L'osservazione dei modelli indica che l'essere umano ha modificato la ricchezza di specie vegetali in circa il 93% [35%-100%] della superficie terrestre, provocando la perdita media nel 51% [14%-64%] delle regioni in oggetto del 5% di specie native, introducendone circa la stessa percentuale.
La maggior parte dei paesaggi regionali, circa l'89% [31%-100%], ha evidenziato un sostanziale aumento della biodiversità nativa grazie all'introduzione di specie aliene di origine antropica. Questo  indica che le perdite di specie sono inferiori rispetto alle nuove introduzioni.
Questi nuovi ingressi sono derivati in larga misura all'introduzione di specie invasive, ma anche per il 13%  dall'attività agricola finalizzata alla produzione di cibo e per l'8% all'utilizzo di piante ornamentali. Il basso dato che riguarda le specie da ornamento viene spiegato dal fatto che queste sono utilizzate quasi esclusivamente in territori urbanizzati che comprendono solo il 14% delle aree oggetto di studio.

I ricercatori affermano che l'effetto dell'attività umana sulla diffusione delle piante vascolari non allontana in maniera importate il dato della biodiversità, se confrontato col modello previsionale “naturale”.
Questa osservazione si accorda col principio ecologico dell'equilibrio di saturazione delle comunità.
Con questa teoria, quando gli esseri umani o altri disturbi causano la perdita di specie native, si formano nicchie "vacanti", e queste possono poi essere riempite di nuovo da specie native, o per via della diffusione antropica o naturale, esotiche.
La valutazione dell'uso del territorio e dell'aumento della popolazione come driver globali del cambiamento della diversità è la sfida, estremamente difficile a causa della complessità delle relazioni, che gli scienziati si pongono per prevedere le variazioni future.
Questo studio pone le prime basi dalle quali partire per conoscere la portata del fenomeno.