L'eleganza delle faggete

Il faggio ha un'eleganza innata e cresce in particolari condizioni che si rinvengono soprattutto sui rilievi appenninici. Il ritorno in zone in cui era stato eliminato
Il faggio (Fagus sylvatica) è un albero slanciato ed elegante, dalla corteccia cenerina e dalla chioma ampia e leggera, di un bel verde tenero; può raggiungere un’altezza di una quarantina di metri. Il fogliame, sentendo l’approssimarsi della cattiva stagione, si accende di toni giallastri, rossicci e ocra, prima di cadere al suolo e diventare ottimo humus. I rami resistono bene agli schianti, salvo nel caso di episodi di galaverna, gelicidio oppure di caduta di neve pesante ed acquosa, tipica di tanti rilievi prossimi al mare (la cosiddetta neve “sciroccale”). Le gemme, assai precoci, temono i freddi tardivi di inverni protratti, specie se abbinati a venti impetuosi; le foglie, essendo provviste di una cuticola molto sottile, temono l’aridità dell’aria, le forti insolazioni e il vento: il faggio si trova in condizioni ideali su rilievi caratterizzati da un clima oceanico, con un ottimo tenore di umidità dell’aria, poco ventosi, ad insolazione non accentuata e nebulosità frequente.
 
Simili condizioni si rinvengono soprattutto sui rilievi appenninici (tra 900 e 2000 metri), specie su pendii volti a settentrione; in altre esposizioni e a quote minori il faggio può accantonarsi in vallette strette e umide, contribuendo a creare interessanti inversioni altitudinali soprattutto con i boschi di rovere oppure di roverella.
Sulle Alpi il faggio è per lo più presente in valli a clima oceanico, nelle quali il regime di brezza non porti a cospicui, quotidiani movimenti di masse d’aria, con conseguente rischio di disseccamento della chioma.
Nelle zone di crinale, il fattore limitante allo sviluppo del faggio è senz’altro il vento; dove gli esemplari riescono ad allignare, assumono portamento arbustivo, i rami diventano contorti, le foglie più o meno sofferenti e in parte disseccate.
Il faggio è una specie buona pollonifera e la faggeta è stata molto sfruttata nei secoli passati per ottenere legname (donde, ancora oggi, una cospicua estensione dei cedui), oppure eliminata per ottenere pascoli; a volte anche colture d’alta quota (campi di segale e di patate) hanno sostituito certe faggete.
Con la diminuzione d’interesse per i luoghi montani, il faggio sta lentamente ritornando ad occupare il posto che gli era spettato in passato (in luoghi aperti tramite la fase intermedia degli arbusti ricostruttori - lo vedremo in seguito -, o del bosco misto citato nel contributo precedente).
 
Foto di Gabriele Altimari