I vivai forestali rappresentano la culla delle nostre foreste e grazie a loro assicuriamo la capacità di mantenerle e viverle.
“Per vivaistica forestale si intendono le seguenti attività: la raccolta a scopo di produzione vivaistica, la produzione, la cessione a qualsiasi titolo e la commercializzazione di materiale di moltiplicazione o di propagazione forestale destinato al rimboschimento, all'imboschimento, all'arboricoltura da legno, alla rinaturalizzazione e alla sistemazione del territorio."
Così viene definito il vivaio forestale dalla scheda informativa della Regione Piemonte (una delle Regioni italiane che mette molte informazioni sul tema). Sono quindi strutture specializzate nella produzione di piantine destinate al rimboschimento, alla riqualificazione ambientale e alla creazione di nuovi boschi. Il loro ruolo è fondamentale per garantire la salute e la vitalità dei nostri ecosistemi, contribuendo a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e a proteggere la biodiversità, soprattutto in un Paese come l’Italia che ne presenta il maggior numero in Europa. Il patrimonio delle biodiversità è messo, soprattutto in questi anni, in grave pericolo da alcuni fattori rilevanti come la densità di popolazione, l'estesa urbanizzazione del territorio, l'intenso disboscamento, l'introduzione di specie aliene (che a livello globale è una delle massime cause di estinzione di specie e di perdita di biodiversità) e, non ultimo e molto importante, la presenza di comportamenti criminali quali incendi e inquinamenti ambientali.
Le foreste e l’assorbimento di CO2
Se poi vogliamo richiamare la tematica dell’assorbimento di CO2, le foreste svolgono un ruolo cruciale nel catturare l'anidride carbonica dall'atmosfera che altrimenti finirebbe per contribuire al riscaldamento globale. L'UE ha lanciato molte iniziative sul tema. In un recente articolo, attualmente è stimato che le foreste dell'UE assorbono l'equivalente del 7% delle emissioni totali di gas serra dell'UE ogni anno. In Europa ci sono ben 159 milioni di ettari di foresta, che coprono il 43,5% della sua superficie. La copertura forestale, come sappiamo, può variare da uno Stato membro all'altro, passando dal minimo 10% di Malta al quasi il 70% della Finlandia. Le foreste, sempre dalle pagine ufficiale del Parlamento europeo - Direzione generale della Comunicazione (fonte https://www.europarl.europa.eu/pdfs/news/expert/2017/7/story/20170711STO719506/20170711STO79506_it.pdf ) sono classificate come indispensabili all’ecosistema, proteggono il suolo dall’erosione, sono parte integrante del ciclo dell’acqua, forniscono l’habitat di molte specie viventi e regolano il clima locale.
L’importanza dei vivai forestali è quindi una questione importantissima e che non è ancora stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica. Vanno bene le auto elettriche, ma al futuro delle foreste chi ci pensa? A questo proposito, sentiamo cosa ne pensa di questo argomento Luca Santini, Presidente Nazionale di Federparchi (Federazione italiana a cui aderiscono circa 180 soci tra parchi nazionali e regionali che gestiscono 350 aree protette per una superficie superiore ai 2.750.000 ettari, di cui 250.000 di mare) e di un importante Parco dell’Italia centrale, quello delle Foreste Casentinesi.
L’INTERVISTA, a cura di Tommaso Pardi
Presidente, come è la situazione dei vivai forestali italiani e qual’ è il loro rapporto con i Parchi? Come si approvvigionano i Parchi di nuove piantine?
Sino a qualche decennio fa i vivai forestali erano di proprietà pubblica, gestiti o dalle comunità montane, con gli operai forestali, o dall’ex Corpo Forestale dello Stato. Ancora oggi i Carabinieri forestali, in particolare il Reparto Biodiversità, gestisce alcuni vivai che per qualità e soprattutto per il germoplasma, che caratterizza la provenienza genetica delle piante, sono quelli più accreditati per poter fornire materiali da poter inserire nei parchi nazionali. Anche se non è così scontato, perché un vivaio forestale dell’Appennino centrale non sempre può fornire piante da destinare all’Appennino meridionale, proprio perché può essere necessario disporre di un particolare germoplasma. C’è quindi una carenza di alberi adatti a garantire la continuità genetica rispetto ad un determinato territorio. Possiamo dire che, ad oggi, non ci sono abbastanza vivai forestali con un’adeguata disponibilità, in quantità e qualità, di piante forestali per poter procedere spediti al rimboschimento nelle aree naturali protette.
Nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi negli anni scorsi, ad esempio, sono stati fatti dei progetti con sperimentazioni che consistevano nel prendere abeti bianchi della Verna per riprodurli in altre zone. Questo è stato possibile in quanto si è capito che erano geneticamente radicati nel territorio delle Foreste Casentinesi. E’un lavoro impegnativo, faticoso e costoso, ed è difficilmente esportabile nel settore privato, se non con dei costi elevati.
Anche eventi estremi, causati principalmente dal cambiamento climatico e dagli incendi, hanno distrutto intere aree boschive, basti pensare alla tremenda tempesta Vaia. A questo proposito che situazione stanno vivendo i Parchi?
Le esperienze cui dobbiamo fare riferimento riguardano, ovviamente, le aree protette. Gli eventi più catastrofici che conosciamo sono quelli degli anni 2015-2016, dove ci sono state intere porzioni di foreste crollate a seguito di venti estremi di tempesta. Nei casi dove sono stati interessati decine e decine di ettari è stato necessario rimettere a dimora piccoli alberi per poi seguirne la crescita; questo tipo di intervento è molto difficoltoso.
Il problema non è che stiamo andando verso un cambiamento climatico, noi siamo tutti all’interno del cambiamento climatico. Il 2022 è stato un anno dove in Appennino non ha piovuto da maggio a ottobre; se avessimo piantato artificialmente con conifere e abeti, avremmo perso la maggior parte degli alberi in quanto non è possibile realizzare ovunque impianti di irrigazione per fornire l’acqua di cui hanno bisogno le giovani piante. Questo è il primo problema.
Successivamente abbiamo fatto delle scelte. Sempre nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi abbiamo avuto un evento che ha colpito circa dieci ettari di foresta, la parte più consistente accanto al santuario della Verna. Inizialmente erano state fatte delle ipotesi di riforestazione e piantumazione di quell’area, ma alla fine abbiamo deciso di lasciare il tutto alla rinnovazione naturale.
Devo dire che a distanza di sette – otto anni si è rivelata la scelta giusta, perché quel pezzo di foresta si sta rigenerando in modo naturale. Ovviamente intorno abbiamo alberi adulti che con il loro seme hanno provveduto a rigenerare l’area. Lì abbiamo constatato un processo di rinnovazione naturale, oltretutto mista, fatta di abete bianco, acero e faggio, e stiamo assistendo anche ad una notevole resistenza alla siccità rispetto a quella che avremmo avuto con una piantumazione artificiale. Anche questo aspetto non è secondario: all’interno delle foreste mature affidarsi alla rinnovazione naturale credo che sia la migliore strada da percorrere.
Cosa diversa è come poter utilizzare i vivai forestali per i boschi periurbani. Gran parte delle nostre città hanno al loro interno spazi alberati che però devono essere compatibili con l’ambiente urbano. Nelle zone esterne e periferiche delle nostre città potremmo invece piantare alberi e creare dei boschi che abbiano le caratteristiche di veri e propri boschi forestali, anche se non estesi, ma di piccole e medie dimensioni. Questi contribuirebbero sia all’assorbimento della CO2 che alla mitigazione del clima nelle aree urbanizzate, processi di cui avremo sempre più bisogno nei prossimi anni.
La carenza di piantine forestali rende più difficile e costoso il rimboschimento delle aree deforestate. Come stanno affrontando questa emergenza i Parchi e come è possibile intervenire? Esistono anche campagne di crowdfunding o interventi di privati?
Abbiamo al PNFC esperienze dove aziende, di ogni tipologia, mettono a disposizione risorse o per piantare nuovi alberi o per conservare alberi che già ci sono. Lo fanno per poter inserire all’interno dei loro bilanci di sostenibilità gli interventi con cui hanno contribuito a creare o salvare un bosco, dando una continuità e consentendogli di diventare un bosco maturo o addirittura un pezzo di foresta. Questa disponibilità delle imprese significa che c’è una sensibilità non solo delle aziende ma anche del consumatore, che recepisce e viene influenzato dalle scelte aziendali in tema di tutela dell’ambiente e della natura.
Per quanto riguarda gli aspetti della piantumazione, se guardiamo i dati possiamo dire che la superficie boscata è in aumento, certo, ma è in aumento soprattutto la superficie cespugliata e quella ricolonizzata da piccoli alberi; ma questo non significa che è aumentata quella forestale. Nella dorsale appenninica vi sono una serie di coltivi abbandonati che sono stati riconquistati da semi forestali che hanno incrementato il bosco in terreni che in passato venivano utilizzati per l’agricoltura. Ovviamente non possiamo considerarlo un vero e proprio bosco, ma possiamo utilizzare queste zone per attivare percorsi di rigenerazione naturale e intervenire in termini di conservazione.
Oggi stiamo osservando e descrivendo la debolezza del settore forestale. Un settore vivaistico debole indebolisce l'intero settore forestale, con ripercussioni negative sull'economia e sull'occupazione. In qualità anche di Sindaco di un Comune montano con una grande vocazione boschiva come vedrebbe un una collaborazione tra pubblico e privato in grado di creare sinergie per ottimizzare le risorse e migliorare l'efficienza del sistema?
In Appenino, soprattutto nei comuni montani, la presenza di aziende vivaistico forestali possono essere un valore aggiunto per la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo in quanto sono i luoghi idonei a svolgere tali attività. Dopodiché ritorna il tema della necessità di fare interventi nelle aree periferiche delle città che sono degradate e dove spesso mancano del tutto alberi, dove troviamo solo arbusti o un tipo di vegetazione che non può svilupparsi più di tanto. Intervenire in queste aree sarebbe utile e prezioso oltre che per i mutamenti cimatici, come dicevo prima, anche per la tenuta del territorio rispetto ai rischi di disteso idrogeologico e darebbe ossigeno ad una economia che in questi ultimi anni ha sofferto non poco, con i vivai forestali che sono quasi scomparsi.
In tutte queste attività, sia quelle montane che urbane, vedo un importante spazio per una sinergia fra pubblico e privato nel comparto vivaistico-forestale. Per favorire uno sviluppo adeguato del settore credo che occorra rimettere insieme il pubblico, che deve svolgere la parte tecnico – scientifica, programmare le attività di reperimento dei dati e il materiale geneticamente adeguato per rimboschire, e il privato, che invece può occuparsi della parte organizzativa e gestionale delle piante, avendo già le strutture e gli strumenti per poter mettere a disposizione il materiale vegetale e crearne a sufficienza per le richieste.
Come Federparchi siete all’interno di Europarc Federation. Questa rappresenta “la rete per il patrimonio naturale e culturale europeo. Creata dai nostri membri, la Federazione lavora per migliorare la gestione delle aree protette in Europa attraverso la cooperazione internazionale, lo scambio di idee ed esperienze e influenzando la politica.” Non poteva mancare la domanda su come hanno risolto la questione dei vivai forestali in Europa?
Non ho contezza specifica della dotazione dei paesi europei. Ci tengo invece a sottolineare come le norme sul PNRR riguardino anche il rimboschimento, in particolare quello delle aree peri-urbane. C’è uno stimolo che giunge dall’Unione Europea per la riqualificazione delle aree degradate, in quanto gran parte del nostro territorio, comprese le Aree naturali protette, sono soggette ad un degrado continuo e costante. E’ quindi indispensabile avere aree cuscinetto fra territori fortemente antropizzati e zone a vocazione naturale. Creare queste aree cuscinetto significa dare una prospettiva a quelle zone ove sono già in corso processi di rinaturalizzazione e offrire opportunità di crescita e sviluppo per le comunità.
Indipendentemente dal resto d’Europa l’Italia ha una responsabilità in più rispetto agli altri paesi europei. Per la nostra conformazione fisica e la collocazione geografica il nostro Paese ha la biodiversità più ricca del continente, sia animale che vegetale. In quella vegetale c’è anche la biodiversità forestale, che è anch’essa la più grande d’Europa. Questo ci deve far sentire tutta la responsabilità. Altri paesi hanno specie vegetali più limitate, alcuni sono ricchi di alberi ma poveri di specie. Ci sono Paesi dove sono presenti soltanto faggio, abete e larice. Noi abbiamo oltre cinquanta specie forestali appenniniche, a cui si aggiungono quelle alpine autoctone. Siamo quindi nella condizione di poter andare ancora più avanti rispetto alle politiche europee, grazie sia al nostro patrimonio naturale che a quello di conoscenze tecnico scientifiche che ci consentono di poter dettare l’agenda sulla valorizzazione e conservazione del patrimonio forestale europeo.
L’Italia è il 4° Paese più visitato al mondo per numero di turisti (57 milioni), dopo Francia, Spagna e Stati Uniti. Abbiamo però un primato: siamo primi al mondo per patrimonio artistico, storico e culturale. Come sta andando il turismo nei Parchi e soprattutto qual è la ricetta per riuscire a coniugare turismo, sostenibilità, foreste?
Visitare i parchi è un’esperienza unica ed è importante comprendere quell’insieme di benefici che la natura ci offre: aria, acqua, animali, alberi, piante e fiori. Bellezze e meraviglie che vanno rese accessibili a tutti. ‘Turismo sostenibile’ significa rispetto per gli ambienti naturali e per la biodiversità. Non vuol dire chiusura di un territorio, ma offrire opportunità di lavoro e sviluppo per le sue comunità. Il turista quando decide di visitare un parco, crea un indotto economico importante: dorme, mangia, fa acquisti di prodotti agroalimentari, compra gadget, visita i borghi, compie escursioni. In Italia Abbiamo 24 Parchi Nazionali, 135 Parchi Regionali, 147 Riserve Naturali Statali, 32 Aree Marine Protette, oltre trecentosessanta Riserve regionali e un gran numero di siti protetti, la maggior parte dei quali rientranti nella Rete Natura2000.
Prima della pandemia ogni anno si registravano circa 27milioni di presenza turistiche nei parchi, con una filiera da 105mila posti di lavoro e un valore di 5,5 Miliardi di euro. Non ci sono ancora dati strutturati riferibili al dopo Covid, ma tutti gli indicatori ci dicono che la richiesta di vacanze “slow e sostenibili” da trascorrere nelle aree naturali protette è in costante crescita.
Non c’è una bacchetta magica per garantire la sostenibilità dei flussi nei parchi. Serve tanto lavoro di preparazione e coordinamento fra tutti i soggetti interessati: il parco, gli enti locali, le associazioni presenti sul territorio, gli operatori del settore. Per un percorso condiviso esiste la Carta Europea del Turismo Sostenibile (CETS) elaborata da Europarc Federation (l’associazione europea che raggruppa oltre seicento fra enti parco e soggetti impegnati nella conservazione e di cui noi siamo la sezione italiana) e per la quale, in Italia, Federparchi è da anni impegnata per la sua diffusione. La Carta è uno strumento prezioso che traccia linee guida e offre i criteri per mettere in pratica un approccio sostenibile alla gestione del turismo nei parchi.
IL NOSTRO OSPITE
Luca Santini, nato a Stia in provincia di Arezzo nel 1964, attualmente è presidente di Federparchi e del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Ha lavorato a lungo su progetti di tutela della biodiversità e della fauna selvatica dell’Appennino, con particolare riferimento al lupo, nonché sui temi relativi al territorio. E’ Sindaco di Stia (AR) dal 2024, carica ricoperta anche tra il 2004 e il 2014. Dal 2011 al 2013 è stato presidente dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino. Nel 2013 diviene presidente del parco nazionale delle Foreste Casentinesi e, da allora, è componente del Consiglio Direttivo della Federparchi.
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