Resistenza all'anossia: una scoperta italiana

Passi avanti nella conoscenza dei meccanismi ossidativi, si ipotizzano anche applicazioni in ambito farmacologico
Nature Plants, una delle riviste più autorevoli al mondo nell'ambito della ricerca sui vegetali, ha pubblicato una sorprendente scoperta compiuta da un team di ricercatori della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, in collaborazione con scienziati del Max Planck Institute (Germania) e dell’Università di Utrecht (Olanda). La notizia ha avuto una discreta risonanza mediatica a causa delle sue numerose possibili applicazioni.

La scoperta riguarda i risultati di una ricerca compiuta su piante di Arabidopsis thaliana sottoposte ad allagamenti controllati. Questa specie è la più utilizzata nei laboratori a causa della “semplicità” di studio del suo genoma (di dimensioni contenute) e della sua caratteristica rapidità di crescita.
L'anossia da allagamento genera nelle piante un'alterazione nell'espressione genica, quindi variazioni metaboliche e fisiologiche. Le reazioni positive più comuni sono la formazione di aerenchima, la comparsa di lenticelle e di radici avventizie dal fusto.
La catena che attiva questi eventi ha, ovviamente, un inizio, un punto di partenza che deve per forza essere un "recettore" che riesce a riconoscere l'assenza di ossigeno a livello radicale.
Fino ad oggi non si conosceva il sensore capace di attivare il meccanismo di adattamento e di resistenza, che consente alle piante di sopravvivere ad eventi atmosferici estremi come le alluvioni.

La proteina Rap2.12 è conosciuta da tempo nell'ambito scientifico ma, come spesso avviene, il suo preciso significato biologico non risultava del tutto compreso. Questa proteina è composta anche da cisteina, un amminoacido, che risulta particolarmente instabile, poiché tende ad ossidarsi molto facilmente, creando una destabilizzazione dell'intera macromolecola. I ricercatori hanno notato, però, che in assenza di ossigeno, derivata per esempio da una sommersione della pianta, la proteina Rap2.12 si stabilizza e migra nel nucleo della cellula. Lì si lega al DNA attivando specifici geni che codificano per proteine importanti nella sopravvivenza in condizioni di sommersione. Una delle conseguenze dirette è la formazione di nuovo capillizio radicale. Questo fenomeno è stato interpretato come un chiaro segno di adattamento: l'emissione di nuove radici assorbenti in condizioni di anossia può essere direttamente collegata a una ricerca “attiva” di ossigeno, magari in strati di terreno non ancora saturi di acqua.

Ancora una volta i risvolti più interessanti provengono dalla fisiologia vegetale e dalla genetica. La scoperta è veramente sensazionale poiché le sue future, possibili, applicazioni sono molteplici. In primis la possibilità di manipolare geneticamente e inserire questi geni, nelle piante che ne sono sprovviste, potrebbe conferire loro la capacità di resistere, dalle 5 alle 10 volte di più, secondo i firmatari dello studio, a eventi climatici come le alluvioni. In un quadro climatico preoccupante come quello contemporaneo questo tipo di eventi estremi sarà sempre più frequente, quindi avere piante capaci di resistere sarà uno dei fattori più importanti nel mantenimento della sicurezza del territorio ma anche, fuori dall'Europa, della sicurezza alimentare.

Probabilmente meccanismi di questo tipo sono presenti in tutti gli organismi viventi, anche nell'uomo. È fondamentale considerare tale fatto poiché è noto che i meccanismi ossidativi siano alla base del controllo dello sviluppo di forme tumorali. Capire quali siano i sensori che si attivano in caso di scarsità di ossigeno, come la proteina Rep2.12, potrebbe consentire i in futuro di proseguire le ricerche anche in ambito medico e farmacologico.

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